Marco Mascellani, l’enologo che ha puntato tutto sul Negroamaro e la Puglia

Dal Lazio all’Umbria, l’incontro con Riccardo Cotarella e, tra le tante, una fortunata consulenza che l’ha portato nel profondo Salento. Così inizia l’avventura di Marco Mascellani, enologo e consulente per importanti realtà territoriali come Vallone, Menhir, Masseria Li Veli e altre in giro per il Mezzogiorno. La sua passione, maturata con tempo e lavoro, è ormai il Negroamaro. Con lui abbiamo chiacchierato di lavoro, nuovi progetti e di cosa c’è nel futuro del vino regionale.

Enologo prima e consulente poi. In Puglia come ci sei arrivato?

Dalla Malibù capitolina, Ostia per la precisione, arrivo in Umbria e mi iscrivo alla facoltà di viticoltura ed enologia a Perugia. Iniziano quindi, i primi lavori. Ho iniziato a Montecchio, da Falesco, e successivamente mi sono formato a Montefalco. Poi, nel 2008, c’è stata l’opportunità – colta- con Leone De Castris, in Puglia. Arrivato qui ho pensato a un percorso formativo di breve durata all’insegna di nuove varietà che ancora non conoscevo. E invece ci sono rimasto fino al 2019. Il Negroamaro, varietà più importante, ha caratterizzato il mio lavoro, assieme a Primitivo e Susumaniello. L’approccio è stato esplorativo, per me che arrivavo dalla terra dei sagrantini dai tannini ben riconoscibili e dirompenti, avere a che fare con questi vini definiti anche “tannici” diventava difficile. Ci ho messo un po’ a capirli, ma ce l’ho fatta, almeno in parte. Ad ogni modo, l’obiettivo è stato nobilitare questi vitigni per farli grandi.

Negroamaro e Primitivo, in particolar modo, sopportano storie non sempre facili e premianti in termini di qualità, piuttosto di quantità. Che tipo di approccio hai avuto con questi vitigni e quali obiettivi ha voluto raggiungere?

I vitigni pugliesi, i rossi in particolare, sono sempre stati visti come vini troppo strutturati, concentrati, opulenti. Ho voluto esaltare la loro eleganza, alleggerirli senza stravolgerli. Ecco ciò che il consumatore cerca, e nei tempi in cui il gusto cambia, è il caso di adeguarne lo stile. Noi enologi dobbiamo essere abili in questo, interpretare proprio i cambiamenti senza imitare altre varietà, oppure rincorrere il mercato con i paraocchi, addirittura rinnegare la realtà viticola e il potenziale enologico di un territorio. Tutto questo è nelle corde proprio del Negroamaro e Primitivo che, a dispetto delle gradazioni alcoliche elevate che esprimono, risultano comunque sinuosi e al passo con i tempi. Muscolari si, ma non troppo.

 Quali prospettive di crescita ci sono per la Puglia?

 Possiamo definire la Puglia una regione a trazione rossa. Al momento però, il mercato sta vivendo una crisi in tal senso, quindi bisogna fare i conti su ciò che cambia e adeguarci. A cambiare non solo sono i gusti su ciò che si beve, bensì anche su ciò che si mangia. La cucina ormai, è meno grassa, più vegetariana. Per questo serve un vino differente, diremmo più gastronomico e meno da “meditazione”. Nel futuro ci sarà anche maggiore spazio per bianchi e rosati che, ancora oggi, detengono un primato in termini di piacevolezza. Ovviamente si parla di rosati pugliesi.

Parliamo anche di bianchi. Solo varietà autoctone o anche internazionali?

Scegliere le varietà è fondamentale, puntando sull’autoctono in primis. Penso a Verdeca, Fiano, Minutolo, Bianco d’Alessano, vitigni in cui credo molto. Non escludiamo anche alcuni internazionali che hanno saputo esprimersi bene in regione. È essenziale però, che si riesca a sopportare un clima sempre più caldo e le naturali escursioni termiche. Con alcune varietà secondarie, approfondite e riscoperte, si può lavorare bene anche in prospettiva di invecchiamento.

A questo punto bisogna chiederlo. Qual è oggi, il tuo vitigno pugliese del cuore?

Il Negroamaro è il vitigno che mi ha dato più soddisfazioni in questi anni. L’ho conosciuto entrando in punta di piedi nelle realtà regionali più importanti come Leone De Castris e Vallone. Per ottenere risultati bisogna comunque mettersi in gioco e lavorare con sicurezza, avendo piena padronanza dei propri mezzi. Mai entrare con la presunzione di entrare e cancellare ciò che è stato fatto prima. Al contrario, bisogna saper prendere il meglio. Ecco ciò che ho fatto con il mio Negroamaro.

Climate change e viticoltura del futuro. Che scenari vedi?

Dobbiamo cercare di contribuite il meno possibile all’ulteriore innalzamento delle temperature con buone buone pratiche, ma il processo è già in atto e lo vediamo con annate estreme. Il lavoro in vigna comunque deve essere costante, senza penalizzare la ricerca. La via dei resistenti può essere battuta anche se è necessario puntare sull’autoctono resistente. Sogno una viticultura dove la genetica non sia più un tabù e possa servire ad assicurare future vendemmie sane.

Durante la nostra chiacchierata più volte hai incluso anche te tra i pugliesi. Alla fine la Puglia ti ha conquistato?

La testimonianza più forte della pugliesità sono i miei figli nati a Lecce. Qui ho scelto di mettere le radici e, per il momento, di fermarmi. Ovviamente coltivo altri progetti che mi porteranno a conoscere nuove realtà legate a doppio filo con il vino.

 

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