Il sanguinaccio leccese, il gusto salato del maiale

La parola sanguinaccio, in dialetto salentino detto sangunazzu rievoca alla mente il dolce tipico realizzato con cioccolata e sangue di suino. Oggi parliamo, invece, del sanguinaccio leccese, un tempo prodotto consumato prevalentemente durante il periodo natalizio, oggi è un cibo poco conosciuto, soprattutto dai più giovani. Facendo un piccolo viaggio nel nostro Paese ne ritroviamo davvero numerose varianti dolci o salate, come ad esempio in Toscana, nel senese per la precisione, si prepara un insaccato detto buristo mentre, in Calabria, si può degustare il sangiari a base di sangue di maiale con l’aggiunta di vin cotto e ricotta.

Oggi la produzione del sanguinaccio è in parte limitata da una legge del 1992 che ne vieta la vendita nella versione dolce cremosa, a causa di norme antigieniche, in quanto il sangue di maiale causerebbe la trasmissione di malattie. Per fortuna, non riguarda la versione ad insaccato, tipica del Salento. Le origini di questo insaccato dovrebbero essere siciliane. Accadeva nei primi anni del ‘900 che i venditori di sanguinaccio andassero in giro, aiutati da un garzone, a venderlo caldo, lesso o fritto, riponendolo nei piatti e tutto ciò riscuoteva un gran successo tra la gente. La storia leccese invece, narra come i maestri del sangunazzu custodissero gelosamente i segreti della preparazione, per poi svelarli ai cugini brindisini in cambio di una colonna della via Appia, la quale sarebbe servita per innalzarvi sopra la statua di Sant’Oronzo, protettore della città.

Riconosciuto come prodotto agroalimentare tipico dal Ministero delle politiche agricole dal 2006, il sanguinaccio leccese è composto da sangue suino aromatizzato, sale, pepe, lardo e parti di cervello insaccato nelle budella, da bollire qualche minuto in acqua o cuocere sulla brace tagliato a fette. Ovviamente, lo si può accompagnare con del pane di grano, formaggio o insalata e persino con le lenticchie, a seconda delle preferenze, per degustare un prodotto che porta, vista la sua composizione, tanto scetticismo ma, allo stesso tempo, trasmette al palato il sapore unico di un alimento della storia salentina.

Alla macellazione, il maiale viene prontamente dissanguato a seguito della recisione della giugulare. Il sangue viene raccolto in un recipiente in cui si aggiunge un po’ d’acqua calda che viene energicamente mescolata al sangue mediante una frusta per almeno 10-20 minuti, al fine di evitare la formazione di coaguli. La parte solida, condensata per effetto della fibrina e delle piastrine, viene eliminata dalla matrice liquida che è pronta per essere utilizzata. Il sangue viene salato ed aromatizzato con spezie, bucce di agrumi e pezzetti di lardo, peritoneo e cervella di maiale. La variabilità delle proporzioni di aggiunta dei singoli ingredienti influenza la composizione chimica e le proprietà dietetico-nutrizionali del sanguinaccio (proteine 11-15%, grassi 9-20%) che, tra l’altro, è ricco in sali minerali (potassio, sodio, fosforo, calcio, ferro e magnesio) e vitamine (A, C ed E, seguite da K, D e gruppo B). La miscela viene insaccata in budella dell’intestino crasso di maiale (del calibro di circa 5 cm), molto resistenti e capienti. Il sanguinaccio è tradizionalmente cotto in una caldaia in cui viene sottoposto a bollitura non tumultuosa per almeno mezz’ora.

Una volta raffreddato, può essere conservato in frigo per qualche giorno. Per essere consumato, viene nuovamente fatto bollire oppure arrostito sulla brace.

Foto Credit: @ecclesiacesarina

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