Il panzerotto è un cibo che non conosce stagioni, ecco i segreti per un buon impasto

Sembra strano, ma la stagione calda è quella in cui si frigge di più e il perché è presto spiegato.

Poiché l’odore della frittura impregna la casa e gli schizzi di olio bollente sporcano le cucine, con l’arrivo delle piacevoli serate estive è facile allestire in giardino, in terrazza o persino sul balcone, comunque all’aperto, un grosso fornello in ferro di quelli che si utilizzano per fare la salsa. Scoppia così la voglia di panzerotti, una delle preparazioni più tipiche, golose e apprezzate della cucina pugliese. Certo, si mangiano anche in inverno, infatti i panzerotti non sono piatto tipicamente estivo, solo che ormai pochi sono coloro che affrontano a cuor leggero la laboriosità della loro preparazione.

Ricordo come si facevano in casa mia quando ero piccoletto. Se ne occupavano mia nonna, mia madre e mia zia e, qualche volta, aiutavo anche io. Ognuno aveva un compito, chi “trombava” la massa (impastava), chi la stendeva, chi la riempiva, chi friggeva. Quando si decideva per una panzerottata, di solito, era mia madre che, con farina, acqua, lievito e lungo lavoro di braccia, impastava farina acqua e lievito finché non si formava una bella massa ben incordata. Poi la copriva con uno strofinaccio e, soprattutto d’inverno, la stipava sotto le coperte di uno dei letti di casa. Dopo alcune ore, formava delle palline e le stendeva creando dei dischi che venivano messi sul tavolo coperto da una tovaglia. Nel frattempo, mia nonna aveva tagliato a cubetti la scamorza, la treccia battuta o le mozzarelle acquistate un paio di giorni prima in modo che fossero più asciutte, e aveva riempito una coppa con i pomodori pelati.

Organizzata così la linea di preparazione, ognuno si metteva alla sua postazione di lavoro. Mia madre riempiva una larga e profonda padella di olio extravergine e lo portava a temperatura alta, mentre mia zia riempiva i dischi di pasta con mozzarella, pomodoro, sale, pepe e pecorino romano e mia nonna li chiudeva ripiegandoli a mezza luna e creando un cordoncino tutt’intorno; ciò avvenne finché non si munì di una rotella tagliapasta con la quale la chiusura appariva più aggraziata. Quel bordo a me piaceva tanto e tutt’ora lo preferisco, ma comunque, quando cominciò ad usare la rotella, i ritagli venivano gettati nell’olio bollente per creare delle gustose frittelle, semplici oppure condite con pomodoro e pecorino grattugiato.

La chiusura dei panzerotti è determinante per la buona riuscita. È importante che venga fatta poco prima dell’ingresso in padella, altrimenti la massa si inumidisce e si rischia di fare “scoppiare” il panzerotto che, appena tocca l’olio bollente, si gonfia per l’effetto del calore sul lievito. Inoltre, deve essere ben fatta in modo da non lasciare punti aperti, altrimenti, si apre inesorabilmente schizzando ovunque tutt’intorno.

Se questi passaggi saranno stati eseguiti correttamente i panzerotti verranno buonissimi e fragranti, altrimenti sarà un disastro!

Da alcuni anni, questo lavoro, in alcune famiglie, è stato demandato alle “panzerottare”, signore che, dietro compenso, vengono in casa munite di attrezzatura e ingredienti, preparano il quantitativo concordato e poi smontano tutto lasciando perfettamente pulito.

Una gran comodità e una nuova professione che sta prendendo piede, al punto che se ne è occupato persino il noto programma Rai “Linea Verde”, mandando in onda una festa in cui tantissimi ospiti in casa di un noto avvocato barese degustavano panzerotti di varie tipologie, apprezzatissimi anche dalla conduttrice ex Miss Italia Daniela Ferolla.

Infatti, il panzerotto, da cibo popolare e casalingo si è trasformato anche in preparazione gourmet, con i ripieni più disparati, come speck e stracchino, provolone e mortadella, gorgonzola e salame piccante, speck e zucchine, tonno e Philadelphia, persino con la brasciòla barese al ragù, oltre a tantissimi altri abbinamenti di fantasia e la lussuriosa versione dolce con la Nutella.

Parecchio gettonato è quello ripieno di cime di rapa stufate, che molti pensano sia un classico ma in realtà non lo è.

Dell’antica tradizione, invece, fanno parte, oltre ai già citati con mozzarella e pomodoro, quelli con la carne, con la “recòtte ascquànde” (ricotta fortigna), con la cipolla stufata e la vera golosissima versione dolce con ricotta zuccherata, uovo e profumo di scorza di limone grattugiata.

Inoltre, nel tempo, da essere di notevoli dimensioni, più o meno quanto una mano, si tende a farli molto piccoli, caratteristica che, secondo me, squilibra un po’ il rapporto tra impasto e ripieno, soprattutto se, chi li prepara, non stende la massa molto sottilmente.

L’equilibrio, infatti, si raggiunge quando la pasta è fragrante e sottile e il ripieno è presente in ogni morso, con la mozzarella che fila facendo – come si usa dire – “il telefono”.

Se l’impasto, invece, è più spesso, il barese usa il termine “massoso”, che è un grave difetto.

Fare dei buoni panzerotti, insomma, è un’arte che si affina nel tempo, facendo tesoro degli errori, imparando da chi ha esperienza e creandosi la propria ricetta dell’impasto, che a volte contiene un po’ d’olio, oppure latte o anche patate.

Ritengo che un semplice impasto di acqua e farina perfettamente lievitato sia da preferire, ma, in ogni caso, quando ci si è creata la propria ricetta perfetta, gli applausi dei commensali sono assicurati.

 

Foto Credits: Gianna Dioguardi, Annalisa Grana, Sandro Romano

 

 

 

 

 

 

 

 

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