I “festini” di Sammichele di Bari, nati per allietare le serate dei contadini oggi sono l’evento cruciale del Carnevale

C’era una volta un ballo di maschera. No, non l’opera di Giuseppe Verdi. Quella è del 1858. Molti anni prima che il maestro emiliano scrivesse le musiche della storia ambientata a Boston, una nota all’Intendenza di Terra di Bari riporta l’affermazione che “generalmente le maschere in questo distretto si riducono a cambiamento di sesso e ad indossare degli abiti di vecchi contadini e massari o altro costume … girano in tutte quelle case in cui si dà trattenimento, d’onde dopo di aver fatto un piccolo ballo, passa in altre, fino a che inoltrata la notte, si ritira nelle proprie case”. Correva l’anno 1830. Cinque anni dopo una “legge” comunale stabilisce che “sarà vietato in tempo di carnevale vestirsi a maschera prima di terminare le sacre funzioni che si fanno in chiesa”.

Sono i primi accenni agli eventi carnascialeschi di Sammichele di Bari. E, in particolare, ai “balli”, che poi sarebbero stati chiamati “festini”. Una istituzione nel paese di seimilacinquecento anime a una ventina di chilometri da Bari. Un centro di gravità permanente, da Sand’Anduone alla Pentolaccia.

Il 2023 è un anno cruciale per il Carnevale sammichelino. Il Comune guidato dal sindaco Lorenzo Netti ha ottenuto un finanziamento regionale e sta spingendo molto sul marketing territoriale. I Festini quest’anno avranno testimoni d’eccezione: dopo Lavinia Abbate, miss Italia 2022, nelle “sale” si esibiranno Cecilia Gayle e Valeria Marini.

Insomma, maschere e festini possono diventare un volano, un po’ come la zampina, la salsiccia a spirale che è diventata un must che attrae frotte di turisti, di curiosi e di appassionati della buona tavola nelle decine di bracerie, dal paese vecchio (le “ottantasette casette”: definito uno dei più bei borghi d’Italia) attorno al castello Caracciolo fino alla periferia. La tradizione è in qualche modo condivisa con Gioia del Colle e soprattutto Capurso.

I festini, dunque. In una sala ricevimenti (l’Estoril, Il Girasole…) o in un’ampia tavernetta, o in un locale qualsiasi (quest’anno, anche un capannone per un festino che ricorda un rave-party), purché sia grande abbastanza per ospitare da cinquanta a cento persone, si piazzano altrettante sedie tutt’attorno. C’è il proprietario, ma c’è soprattutto il deus ex machina, il caposala, che qualche volta vien detto “commandatore” di sala. Un dittatore: inappellabile e incensurabile.

Si balla… Liscio, soprattutto. Qualche lento, balli di gruppo. Il divertimentificio, insomma. Lo spirito da balera con regole rigidissime. Appuntamento il giovedì, il sabato e la domenica. Ci sono i giochi: il cacciatore, la sedia, la scopa, e c’è sempre un “pegno” da pagare.

E poi ci sono le maschere. La “comitiva” è guidata da “conduttore”. Accolto dal caposala con molti salamelecchi, meglio se in rima baciata, alla fatidica domanda “come ballano le maschere?”, lui risponde con un inevitabile “a disposizione della sala”. I partecipanti non possono sottrarsi all’invito: devono ballare. Della sacralità delle maschere parla Angelo Di Santo, anch’egli con la passione per le storie della sua terra d’origine: «La maschera è impunibile e non si può toccare. Guai a farlo ovvero a mancarle di rispetto durante: rischi di essere espulso dal caposala a cui fa ricorso il conduttore».

Altro momento clou è la quadriglia, guidata dallo stesso commandatore. Un’orgia di passi, un miscuglio di mazurka, minuetto, clownerie, una storpiatura del francese, da contré a sciangé la dam.

Naturalmente, si mangia. Specie il giovedì, quando i gruppi mascherati possono non venire. Spiega Chella Milillo, storica panificatrice: «Il panino con la mortadella e il provolone si usava una volta, qualche volta con la brasciola. Oggi di solito si va al ballo mangiati, come si usa dire». E la gustosa focaccia “a livre”, di cui si ignora l’origine, a cominciare dal nome, arditamente tradotta in “a libro”? «No, non capita più – spiega Stefano Santolla, appassionato di tradizioni popolare locali –. Piuttosto è importante il pranzo della Pentolaccia, sovente allestito all’interno della sala e che deve concludersi con la “caccia” alla pignata, una moscacieca con tano di mazza in legno e di giara in terracotta piena di dolci. Oppure ci sono le serate a tema, magari con i panzerotti fritti». Non di rado viene rispettata la tradizione di preparare un tavolo da buffet con ceci arrostiti, taralli e vino primitivo.

Uno dei simboli del carnevale sammichelino è l’“homm’n curt”, vale a dire l’uomo basso di statura, divenuto una sorta di marchio di fabbrica, un po’ come Farinella a Putignano.

I festini traggono origine dalle usanze tra i contadini di riempire le fredde serate del periodo morto per i campi. E poi, diciamolo pure, bisognava sistemare le figlie, soprattutto le meno carine, insomma quelle che passavano per racchie al tempo in cui il body shaming ancora non era stato inventato.

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