È appena terminata la seconda serie de “Le indagini di Lolita Lobosco”, la fiction tv tratta liberamente dai libri di Gabriella Genisi, e si capisce già dalle ultime battute che non finirà qui, ma ci sarà certamente una terza serie.
Vedo pochissima televisione, ma da quando c’è Lolita la domenica è un appuntamento fisso.
Mi sento coinvolto, sarà perché io e Gabriella Genisi ci conosciamo da un po’, sarà perché mi sento orgoglioso della mia città che mi appare davvero stupenda, ma non posso mancare a questo appuntamento.
Anche in questa serie sì è avuto un grande successo di pubblico, Bari e la Puglia sono state al centro dell’attenzione, e questo trovo sia bellissimo, ma, come al solito, non sono mancate le polemiche, soprattutto da parte degli stessi baresi, che hanno un’innata capacità di farsi del male da soli.
Polemiche sul dialetto, sui luoghi, persino sulla cucina.
Quindi, una chiacchiera con la mia amica e scrittrice di fama internazionale era assolutamente da fare.
Gabriella, lo share è stato altissimo! Ti aspettavi tanto successo?
Vero, share altissimo, la prima puntata addirittura intorno al 30%. Sai, io sono una sognatrice, una che è cresciuta con le favole, per cui credo che tutto sia possibile. Per cui…insomma… come dire…sì, me l’aspettavo. Sono sincera, sarei bugiarda se dicessi di no, io guardavo il successo di Montalbano in tv, e poiché ero fuori dalle dinamiche editoriali televisive ho sempre creduto possibile che anche il mio personaggio arrivasse al successo e infatti ci è arrivato.
Sei a pieno titolo considerata ormai tra i più importanti scrittori di gialli in Italia. Ma come hai iniziato a scriverli, quando è partita la passione?
La mia passione nasce nel 2005, pubblicando tre narrative, ma, nel frattempo, mi ero invaghita del commissario Montalbano, personaggio letterario fantastico. Così una sera, davanti alla tv, mi misi a riflettere sulla presenza delle commissarie nella letteratura poliziesca italiana e mi accorsi che non ce n’erano, c’erano le ispettrici, quindi le donne sempre sottoposte.
Lolita nasce, quindi, dall’esigenza di ristabilire un equilibrio reale, perché nella realtà le commissarie esistono, ma nessuno si era dato la pena di attualizzare la narrativa poliziesca.
Poi, naturalmente, il personaggio ha trovato l’interesse di un editore e quindi ho dovuto imparare a scrivere i gialli. Evidentemente avevo un’anima gialla già dentro di me che poi, pian piano, è venuta fuori, ma quello che a me interessava e che poi è piaciuto anche ai produttori della serie, era il racconto di un personaggio contemporaneo immerso in una città che, in questo caso, è Bari.
Quindi il giallo c’è, però non è fondamentale. Se il lettore compra il mio libro per trovare l’indagine può restare un attimo deluso, invece è contento se lo compra per trovare una commedia gialla.
Raccontami di quando hai saputo che la Rai era interessata a portare Lolita sullo schermo.
Guarda, è stato Zingaretti a contattarmi perché lui aveva letto i miei libri e si era innamorato del personaggio. Mi ha telefonato un pomeriggio e, ovviamente, ho pensato ad uno scherzo anche perché ero una sua fan e mai mi sarei aspettata una cosa del genere. Quando ho realizzato che era proprio Zingaretti, mi ha detto che lui e sua moglie si erano innamorati di questo personaggio, per loro bellissimo, e che, se io fossi stata d’accordo, avrebbero voluto provare a portarlo sullo schermo. Naturalmente io ero d’accordissimo, per cui c’è stata prima di tutto una trattativa condotta dalla mia agenzia letteraria e dai suoi legali, hanno messo su il progetto con Bibi Film, e poi sono stati loro a presentarlo alla Rai.
E alla Rai è piaciuto…
È piaciuto proprio perché Lolita è un personaggio moderno, che va oltre tutti i commissari maschi e porta una ventata di novità e di leggerezza, e il successo che ha avuto ha dimostrato che erano nel giusto. Io sono piena di messaggi che mi arrivano da tutte le parti d’Italia e dall’estero di donne e di ragazzine che si identificano con Lolita, trovandola di grande stimolo ai loro progetti.
Quindi sin dalla prima telefonata hai saputo che Luisa Ranieri avrebbe interpretato Lolita?
E ritieni che l’interpretazione della Ranieri corrisponda alla Lolita che ti eri immaginata?
Sì, l’ho saputo subito. Luisa è perfetta. È proprio lei, quando io ho visto la prima puntata in anteprima a Roma, credimi, ho avuto la pelle d’oca tutto il tempo, perché mi sembrava che uscisse direttamente dalle pagine del libro. C’è una sovrapposizione perfetta, nonostante io avessi visto le riprese è nel montaggio che riesci a cogliere la pienezza del progetto.
Ma Lolita è anche un po’ Gabriella?
Quando l’ho immaginata ho voluto crearla diversa da me. Lei è divorziata, senza figli perché non ne ha voluti, impegnandosi appieno nella vita professionale, mentre io, al contrario, avevo fatto scelte completamente diverse nella vita. Sono sposata da 37 anni, avevo scelto di non lavorare, sono mamma e nonna, però a Lolita avevo dato le mie passioni, le macchine cabrio, il mare, la leggerezza e anche il modo allegro di affrontare ogni situazione. Comunque quando scrivo devo fare Lolita, quindi ci ho giocato un po’ sul personaggio, questo va detto, però è stata un’arma un po’ a doppio taglio perché i lettori creano un transfer tra me e lei e questo certe volte è un po’ fastidioso.
Quando hai accettato che portassero i tuoi libri in tv non hai temuto che potessero modificarteli?
Mi hanno detto sin dal primo istante che la serie sarebbe stata liberamente ispirata ai miei libri, perché a loro interessava, appunto, non il risvolto giallo ma il personaggio e la città, per cui Lolita poteva anche essere un architetto o un medico e avrebbero raccontato alla stessa maniera il suo lavoro. Tra l’altro il pubblico della tv è un pubblico diverso rispetto a quello dei lettori, e gli sceneggiatori devono tradurre i libri in immagini, in linguaggio televisivo, e naturalmente ci vogliono persone competenti, anche perché sono investimenti importanti che la Rai fa e, quindi, vuole un riscontro. Per me è stata una grandissima opportunità, il personaggio è ormai molto noto, conosciuto da milioni di telespettatori, continuano ad arrivare nuovi lettori e quindi alla fine il bilancio è assolutamente positivo. Bisogna anche un po’ fidarsi degli altri, quindi io dal primo istante ho accettato di buon grado qualsiasi modifica che loro ritenessero opportuna.
Cosa rispondi a chi critica nella serie tv il dialetto e l’accento utilizzato dai personaggi e soprattutto da Lolita?
È un meccanismo chiamato cinema. Intanto c’è da dire che il dialetto barese si modifica anche spostandosi da un quartiere all’altro, quindi probabilmente il barese del murattiano ha quasi assenza di accento nella lingua parlata, però basta ascoltare il dialetto a San Girolamo o a Bari Vecchia e tutto cambia. Ma il problema principale è che la produzione non è pensata per i trecentomila abitanti di Bari, ma è un progetto molto più ambizioso diretto ad un pubblico mondiale, trasmesso in ben 20 paesi nel Mondo, per cui, indubbiamente, nella prima serie c’è stato forse un eccesso poi modificato nella seconda, tanto che questa critica si è un pochino spenta. Continua a farla chi non sta vedendo la seconda serie e continua sulla scia della prima a ripetere la stessa storia. Poi, naturalmente, basterebbe rendersi conto che anche Montalbano non parlava il siciliano perfetto, così come Vanessa Scalera che interpreta Imma Tataranni, non parla bene il materano. C’è sempre, in questi casi, una piccola rivolta degli abitanti del luogo però, alla fine, bisogna valutare il prodotto nella sua interezza.
Poi c’è persino chi critica il fatto che non tutto sia stato girato a Bari, mi pare anche a Monopoli, giusto?
Ti rispondo che, per quanto riguarda i paesaggi, anche il ponte di Gravina compare in 007. È chiaro, qui conosciamo i luoghi e notiamo che alcune parti non sono di Bari, ma questo succede in ogni film, basterebbe conoscere i meccanismi della cinematografia per comprendere che queste critiche lasciano il tempo che trovano.
Come mai nei tuoi racconti utilizzi spesso alcune ricette?
La nouvelle vogue del giallo è questa, nel racconto di un luogo bisogna raccontare anche il cibo. Attraverso la cucina vengono raccontate le città e le regioni italiane, vedi la Napoli di De Giovanni o la Matera della Venezia. Lo stesso Camilleri racconta moltissimo il cibo siciliano, non dimentichiamo gli arancini, la caponata, la pasta ‘ncasciata, abbiamo apprezzato molto la cucina siciliana attraverso i suoi racconti.
Tra l’altro in Puglia il cibo è un sentimento, un nostro modo di amare, i piatti pugliesi sono sempre molto elaborati ed è proprio l’amore che ci spinge a prepararli. Amore passionale, amicizia, affetto di madri, è ampia la gamma dei sentimenti. Il barese non si mette a tavola per nutrire il corpo ma per nutrire veramente i legami, resta ore intere a tavola, quindi nel racconto di una città non si può non raccontare questo. Inoltre, il legame tra cibo e giallo è antico, basti pensare a Nero Wolfe, al commissario Maigret, a Montalban con Pepe Carvalho. che ha persino scritto il libro delle ricette immorali. Ecco perché anch’io parlo di cibo, ma c’è da dire che l’ho inserito già nel mio primo libro, che non era un giallo. Tutto ciò quando ancora non c’era questo boom della cucina in tv e questo mettere ricette nei libri.
Ti hanno criticato persino le ricette, gli spaghetti all’assassina non si possono fare con gli spaghettoni, lo scammaro non è quello della ricetta originale del Cavalcanti…
Ah lo scammaro! Una tipa su Facebook ha scatenato l’ira di Dio! Nel mio libro c’è sia la versione personale della sorella di Lolita che quella del Cavalcanti del 1837, sarebbe bastato anche solo sfogliarlo per evitare polemiche assurde. E invece no, apriti cielo! Che cosa ha potuto combinare questa signora rispondendo ad ogni persona che commentava i miei post, dicendo che la ricetta era sbagliata. Persino Vanity Fair, non verificando le fonti, cosa che per dei giornalisti dovrebbe essere imprescindibile, ha poi riportato la cosa come un errore. Quella nella fiction era la ricetta della sorella di Lolita, che ha una nonna napoletana. È un piatto familiare con le proprie varianti, con il pomodoro, il peperone crusco, non si pretendeva certo di fare la ricetta originale. Avevo dato l’idea agli sceneggiatori, ma il libro l’ho scritto dopo che abbiamo cominciato a girare e, infatti, nel libro c’è anche l’originale. Non sarebbe meglio, prima di parlare a vanvera, se il libro te lo compri, te lo leggi o, almeno te lo vai a sfogliare in una libreria, e poi soltanto dopo dici la tua, piuttosto che attaccare senza sapere? Insomma io la trovo una polemica sterile e stupida. La cucina è un campo minato, ognuno ne sa più degli altri. In realtà, scammaro vuol dire piatto magro, infatti sia nella cucina salentina che calabrese esiste questa parola. Viene da “scammarare”, frittata di scammaro vuol dire frittata di magro.
Sugli spaghetti all’assassina, inoltre, nel libro c’erano parecchie versioni, sia la mia che altre, compresa quella dell’Accademia.
Infatti Gabriella, che poi, se vogliamo proprio dirla tutta, per gli spaghetti all’assassina non esiste una ricetta che si possa definire originale e, invece, ci sono tanti modi per farli. Ma questo non è argomento della nostra chiacchierata. Le scene in cui si è parlato di cibo le ho trovate davvero esilaranti, in particolare quella in cui Santa, la madre di Lello, cucina per il guru indiano con un “procedimento rituale pugliese” e quella in cui Antonio Forte descrive il panino col polpo originale, fatto alla brace e senza “fetenzie”.
Ma quando giravano le scene tu eri presente?
Non sempre. A volte sì, compatibilmente con i miei impegni andavo sul set, e ho dato consigli solo nella prima serie, quando hanno messo su il progetto. Ci sono state riunioni operative, ma ora vanno per conto loro, sono talmente bravi che non c’è proprio nulla da dire.
Cosa provi quando vedi gli episodi in tv? Li vedi in anteprima?
Io vedo solo il primo, mentre gli altri li scopro insieme a voi e sono molto coinvolta. Mi emoziono tantissimo nel vedere la Ranieri interpretare Lolita, la città di Bari che appare splendida e la fiction fa scoprire ancora di più la sua bellezza. A volte ci si abitua alla bellezza, questa fiction invece ce la ricorda.
Luisa Ranieri e Luca Zingaretti che tipi sono?
Adorabili, molto alla mano e anche molto discreti. Sono persone che vivono la loro quotidianità con grande naturalezza e quindi spesso l’ingerenza del pubblico, poiché sono personaggi conosciutissimi, è davvero tanta. Quando vanno in giro per la strada li fermano in continuazione e loro sono disponibili ma anche molto attenti alla loro privacy.
Alla fine di questa bella chiacchierata consentimi di andare un po’ sul personale. Pur essendo giovanissima sei anche nonna. Cosa si prova ad esserlo?
È una felicità incredibile anche perché in questa bambina rivedo me stessa piccola, rivedo i miei figli, quindi c’è una grande emozione e mi è venuta una gran voglia di scrivere favole.
Vero, anche in mio nipote, che dicono mi somigli tanto, rivedo me stesso da piccolo ed è una cosa molto forte. Ma come si chiama tua nipote?
Silviamore. Sarebbe Silvia, ma per noi tutti è ormai Silviamore!
Il successo che stai avendo con i tuoi libri e ora con la trasposizione televisiva delle indagini di Lolita ha un segreto o, per dirla con termini gastronomici, una ricetta?
La ricetta è quella che accompagna da sempre la mia vita, cioè prendere le cose con allegria e leggerezza. Solo così i sogni si realizzano!