Chef Riccardo Camanini: “Con la cucina non è stato amore a prima vista, Marchesi e Ducasse mi hanno fatto innamorare di questo mestiere”

 Alcuni giorni fa ero a Lecce in occasione della manifestazione FoodExp che si è tenuta nel Chiostro dei Domenicani, luogo di affascinante bellezza con al suo interno un elegante ristorante guidato dallo chef salentino Donato Episcopo. Donato è un mio caro amico e alcuni anni fa ho avuto persino il grande piacere di cucinare insieme a lui, così, poiché erano un po’ di anni che non ci vedevamo, mi sono affacciato nella cucina del ristorante per salutarlo. Tutto lo staff stava preparandosi per la serata nella quale importanti chef hanno poi cucinato la cena e, quindi, c’era un certo viavai di personale, motivo per cui non volevo essere d’intralcio ma solo salutare al volo il mio caro amico. Poco più in là un gruppetto di persone chiacchierava e, tra loro, riconosco uno tra i più talentuosi e innovativi cuochi dell’alta cucina italiana, il lombardo Riccardo Camanini.

Camanini è il patron insieme al fratello Giancarlo del ristorante stella Michelin Lido 84, inserito al 15° posto tra i World’s Best Restaurant, primo tra gli italiani nella prestigiosa graduatoria mondiale. Come facevo a lasciarmi sfuggire l’occasione di una tranquilla intervista lontano dalla calca della manifestazione là fuori? Infatti, non me la sono lasciata sfuggire.

Riccardo, è la prima volta che vieni a Lecce?

Sì, è la prima volta ma è un rammarico, conosco poco dell’Italia, perché, da quando a 14 anni ho iniziato a lavorare e in estate sono sempre stato impegnato. Questa è la prima volta che faccio le ferie dal 31 maggio all’8 giugno proprio per vivere un po’ l’Italia dopo tanti anni di lavoro. È un po’ un peccato a cui devo rimediare, mi dispiace tantissimo, ho solo ammirato il bellissimo mare arrivando in aereo. So che Lecce è città di una bellezza unica. In Puglia avete un’enogastronomia che vi invidia il Mondo e soprattutto penso che siate stati in grado di preservare una forte identità, perché, purtroppo, il rischio dell’evoluzione in questi anni nell’essere così aperti e cosmopoliti ci fa disperdere tante bellissime rarità e unicità italiane.

Qualche tuo collega da me intervistato sosteneva che proprio questo sia stato il freno della crescita in ambito ristorativo della Puglia.

 Eh no, questo invece sarà il vostro tesoro, un po’ come il tartufo, che 200 anni fa non era così apprezzato come oggi.  La Puglia proprio per questa sua capacità di essere se stessa e aver mantenuto questa grande tradizione, molto probabilmente si differenzierà.  Io sarei molto curioso di andare per trattorie per scoprire veramente la tradizione pugliese dove è annidata, mi piacerebbe davvero tantissimo.

La Puglia in realtà è fatta da tanti territori che si differenziano tra loro. Ora sei nel Salento, sali e c’è la Terra di Bari, poi la Capitanata. Non sei stato neppure in questi altri luoghi?

 La verità è che ci sono stato l’unica volta in vita mia tanti anni fa durante il servizio militare, mi ero preso gli ultimi congedi e li ho passati ad Ostuni, perché, all’epoca, un compagno di classe di liceo di mio fratello aveva fatto l’Accademia in Finanza e faceva il capitano in quel paese.

Andavo a fare la spesa per cucinare in casa e mi regalavano l’aglio, il basilico, cosa che al nord non fa nessuno. Compravi la verdura e te ne davano in regalo altra. Chiaramente lì ho avuto i primi approcci al gusto del mare pugliese e ai prodotti della pesca.

Conosci la cucina pugliese?

 Pochissimo.

Quindi non hai una conoscenza diretta?

No, anche se ho un caro amico, Damiano Nigro, che è stato lo chef di Villa Amelia e ha lavorato con me da Marchesi, il quale mi ha sempre dispensato lampascioni e cose estremamente buone.

Quale prodotto pugliese porteresti nel tuo ristorante?

 Sono davvero tanti, avete molto più sole di noi e quindi porterei tutti i profumi legati al sole. Ma penso che dovendone scegliere uno porterei i lampascioni e ti dico anche il perché. Ho iniziato quest’anno ad usarli e a raccoglierli nel bresciano, e sono giù di 50 cm e anche un metro. Io non sapevo questo, e mi son detto che è da matti andare a trovare un tesoro del genere. Li ho provati fritti e non l’avevo mai fatto perché me li davano sempre sott’olio e devo dire che sono estremamente difficili da lavorare, perché gestire quell’amaro e governarlo non è così semplice. Soprattutto è difficile gestire la taglia perché ho capito che i più piccoli probabilmente sono anche quelli più buoni. Sì, ti confermo che è il lampascione quello che mi piacerebbe portare su in quanto è il prodotto che forse conosco meno.

Cucini il pesce?

 Tantissimo, mi piace un sacco.

Di mare?

Sì, assolutamente. Chiaramente il pesce arriva dalla parte adriatica, perché Gardone Riviera è a due ore da Venezia, quindi facciamo riferimento alla zona di Chioggia.

Se non avessi fatto il cuoco cosa avresti fatto nella vita?

 Non me lo sono mai chiesto, probabilmente perché sono del ’73 e in quegli anni chi cambiava scuola o mestiere era visto in paese un po’ come uno sconfitto, non c’era la possibilità, come oggi, di interpretare la propria vita su diverse carriere. I primi anni sono stati molto frustranti, non amavo per niente questo lavoro e ci soffrivo tanto perché non era molto edificante lavorare in una cucina. Erano gli anni ’80, i cuochi e questo mestiere erano piuttosto bistrattati ma, fortunatamente, strada facendo, ho incontrato grandi maestri come Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse i quali mi hanno fatto innamorare e capire che la conoscenza poteva essere una chiave di lettura per scendere in profondità. Poi, come in tutte le cose, ci si innamora anche di questo mestiere, ma non è stato amore a prima vista, ho imparato ad amarlo con la perseveranza.

Come è scoppiata la passione?

 Dopo le esperienze marchesiane e ducassiane, con una consapevolezza diversa maturata attraverso la lettura. Mi sono appassionato ai libri e ho cominciato a collezionarne, proprio il libro mi ha fatto capire il perché oggi mangiamo in questo modo e dove sono stati i tasselli più importanti dei cambi della cucina, partendo da Omero ad oggi. Omero già all’epoca parlava di una cucina che non può essere elevata a manifestazione artistica perché non è opera degli dei e neppure una missione eroica. Archestrato da Gela diceva che dobbiamo smetterla di vedere i cuochi come dei giullari perché è un mestiere serio fare degli artifici estremamente complessi.

A Identità Golose ti ho visto torchiare il rognone.

 Sì, l’ho fatto per estrarre il sangue citato da Marco Gavio Apicio per fare il condito di brodo di miele da viaggio, questo condimento che pensava fosse forte per i soldati perché c’era il sangue, che oggi abbiamo l’abitudine di buttare. Io lavoro anche con un importante macellaio pugliese, il quale mi disse che l’uretra è ricchissima in sali minerali e, quindi, anche il sangue dei rognoni lo è.

In Puglia abbiamo una grande tradizione del quinto quarto. Sarebbe interessante farti conoscere qualcuna delle nostre ricette, come il “cazzemàrre”, che è una preparazione a base di interiora di agnello condite, inserite nella rete, chiuse con il budello e cotto al forno. Una delizia.

I turcinieddi! Eh sì devo tornare in Puglia per questa roba!

No, quelli sono piccoli! Il marro è una sorta di salsiccione simile al kokoretsi greco.

 Ti faccio una confidenza, in proporzione quando sono fuori vado in 100 trattorie e uno stellato, mi piace così.

Hai un hobby?

 Corro da 30 anni, facevo mezze maratone, ora continuo ma lo faccio per passione solo un’oretta nelle colline di Gardone e basta.

Progetti futuri?

Non ne ho, stiamo lavorando bene e non mettiamo troppo il carro davanti ai buoi, perché io e mio fratello siamo così di carattere e non abbiamo ambizioni faraoniche. È già arrivato molto di più di quanto ci aspettavamo. Va bene così.

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