Il divieto di pesca dei ricci di mare genera scetticismo, la parola agli esperti

Sospendere la pesca dei ricci nelle acque pugliese per tre anni. È questo che stabilisce la Legge approvata lo scorso 28 marzo in Consiglio Regionale con l’intento di tutelare la risorsa.

Da ora in poi, le linguine ai ricci gustate con i piedi nella sabbia non avranno più il sapore della spensieratezza, perché quello che il provvedimento ha scoperchiato è un vero e proprio vaso di Pandora. Le perplessità sulla fattibilità e sull’efficacia della Legge si rincorrono, le va però riconosciuto il merito di aver acceso i riflettori su un problema che gli addetti ai lavori conoscono già da tempo, ma che il consumatore medio – vogliamo credere – abbia ignorato fino ad ora, e cioè che i ricci stanno sparendo dai nostri mari.

LA TRADIZIONE DI FORCATELLA

Quella di assaporare il riccio in purezza è una consuetudine che accomuna quasi tutta la costa pugliese, ma la patria di questa tradizione è senza dubbio Forcatella, contrada di Savelletri di Fasano. Qui si trova la più alta concentrazione di chioschi in stile marinaro, che, con i primi raggi del sole primaverile, vengono presi d’assalto dai pugliesi di ogni provincia, desiderosi di gustare un piatto di ricci crudi a un passo dagli scogli.

La tradizione vuole che ne siano serviti “cinquanta alla volta” su tovaglie di carta molto spartane, dove il pane prende il posto delle posate. Immancabile un buon calice di vino.

Un rito a cui non tutti sarebbero in grado di rinunciare e che la Legge Regionale non osa intaccare, poiché il divieto non riguarda il consumo, ma la pesca locale.

Ben vengano quindi i ricci di importazione, che già da tempo sono presenti nelle cucine dei ristoratori, come afferma Giovanni Sibilio, titolare del Ristorante Alba Chiara di Savelletri: «Già da un paio di anni importiamo i ricci dalla Grecia e dalla Croazia. C’è il pregiudizio da parte della gente, perché si pensa che i nostri prodotti siano sempre migliori, senza sapere che attualmente quelli locali sono più piccoli, mentre quelli di importazione sono grossi e pieni. Qui la tradizione è così radicata che se non abbiamo i ricci la gente si alza e va via, non siamo dei normali ristoranti di pesce. Ecco perché a volte impongo un limite sul quantitativo ordinabile per poter accontentare tutti».

Oltre ad essere ristoratore, Sibilio ha regolare licenza di pesca subacquea e in quasi 35 anni di immersioni ha potuto notare come lo stato dei fondali stia cambiando.

«Nella zona di Forcatella – continua Sibilio – i pescatori del luogo hanno creato, circa 60 anni fa, un circuito di pesca, che dava la possibilità di mangiare i ricci in qualsiasi giorno dell’anno. Quando non c’era il limite imposto dalla normativa, personalmente, prendevo dai 6.000 ai 12.000 ricci al giorno. Orai non si trova quasi più niente, perché la cattiva gestione ci ha portato alla situazione attuale. Purtroppo ci sono dilettanti che, anche durante i mesi di fermo, pescano i ricci per consumo personale, cosa tuttora difficile da controllare».

OLTRE AL BUONSENSO CI SONO I DATI

È evidente che la domanda dei consumatori non rispecchia più l’offerta dei nostri fondali. Lo confermano anche i risultati del monitoraggio, realizzato nell’ambito del Progetto TUGEPLAL finanziato dal Programma PO FEAMP (Fondo Europeo per gli affari marittimi e la pesca) 2014 – 2020. L’indagine ha messo in evidenza come nelle tre aree di studio esaminate (Forcatella, Parco Archeologico di Egnazia e Parco Dune Costiere) il numero di ricci per metro quadrato sia inferiore a 1 e le loro dimensioni siano poco al di sopra del limite consentito per legge (5 cm senza aculei).

Il progetto si è concluso con due giornate di evento, tenutesi a Savelletri nel luglio del 2022, dedicate alla sensibilizzazione e all’educazione ambientale anche dei più piccoli. Tra gli intervenuti all’incontro

Eleonora Meliadò, Ecologa marina, si è occupata di raccogliere i dati e svolgere le analisi in campo, attraverso immersioni subacquee.

«I dati forniti dalle aziende di import export – afferma Meliadò – hanno messo in evidenza un incremento di prodotto importato dal 2019 ad oggi. Con i pescatori della cooperativa di Fasano abbiamo potuto monitorare le dimensioni e il numero di ricci giornalmente pescati; in due ore di lavoro un pescatore riesce a raccogliere poco più di 100 ricci. Questo scenario li obbliga a impegnarsi con grande sforzo per ricavare pochissimo prodotto e venderlo, di conseguenza, a prezzi elevati. Gli stessi pescatori da noi intervistati sono consapevoli della grande crisi della risorsa, tanto da essere loro stessi favorevoli a una chiusura temporanea della pesca».

SENSIBILIZZARE I CONSUMATORI

Bisogna agire, e anche in fretta, o forse è già troppo tardi, come sostengono in molti. A questo pensiero molto diffuso tra gli addetti ai lavori si aggiungono i numerosi interrogativi in merito all’efficacia del recente provvedimento. Quali saranno le azioni di controllo sul territorio? Chi verificherà che il fermo stia funzionando? Ci saranno delle coperture adeguate per i lavoratori del settore? E ancora, non c’è il rischio che il divieto incentivi la pesca illegale?

Sono queste alcune delle domande su cui pone l’attenzione Massimo Toma, Biologo marino e Membro del Comitato Scientifico di Mareamico, che aggiunge: «l’ecosistema marino è compromesso e difficilmente il problema si risolverà con un divieto, andrebbe fatto un ragionamento più complessivo, una campagna di formazione e sensibilizzazione seria che metta al centro del discorso la risorsa mare; quale fabbisogno può ancora garantirci e quale sarà il destino dei lavoratori del settore. Prima di attuare un divieto bisognerebbe educare la gente e far capire perché non è più opportuno mangiare 50 o addirittura 100 ricci».

L’IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO

A preoccupare la comunità scientifica c’è anche l’assenza di un piano di monitoraggio degli esiti, durante e dopo il fermo, come sostiene il prof Roberto Carlucci dell’Università di Bari, che da anni si occupa di ecologia marina, gestione delle risorse del mare e conservazione di specie di interesse comunitario Mediterraneo.

«Al momento sono felice per come alcuni elementi essenziali della diversità biologica si siano elevati alla sensibilità del dominio pubblico, afferma Carluccisono invece preoccupato per la mancanza di piani di monitoraggio che diano l’opportunità di misurare quanto sarà efficace questo intervento. Bisogna tener presente che i ricci hanno un ciclo biologico lungo e che la loro crescita è piuttosto lenta, circa 1 cm all’anno in condizioni di normalità. In tre anni dovremmo trovare un miglioramento rispetto ad una base di partenza che però non è stata misurata.

Non discuto quindi della necessità del provvedimento, ma chiediamoci anche perché, pur essendoci già una normativa ancora in vigore, (che fa riferimento alla taglia e al numero di ricci prelevabili dai pescatori professionali) siamo arrivati a un tale depauperamento degli stock naturali da rendere necessario un intervento d’urgenza».

 

 

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