Il Rizzaglio o “Rezzaglio”: un’antica tecnica di pesca

Un corpo chino ore ed ore su una sedia pieghevole in legno a fasce, dinnanzi a quello che sembrerebbe un monumento alla memoria di caduti in guerra. Interi pomeriggi con ago e filo a riparare reti. Non so quanti pomeriggi abbia osservato con ammirazione un uomo di cui scorgevo a malapena il volto, in lontananza, scrutando i suoi movimenti, la sua manodopera, la sua pazienza.

Una quiete che ti arrivava anche a distanza di metri, parecchi. Lui nel bel mezzo di un piccolo spazio, una piazzetta davanti ad un monumento della città di Margherita di Savoia. Posto a pochi metri da via Barletta, arteria molto trafficata in piena estate perché di accesso a questo borgo: marinaro, termale, turistico ed agricolo. Strada attraversata dai tanti bagnanti provenienti da Barletta, Andria, Trinitapoli, Canosa di Puglia, Trani, ma anche da chi la percorre per raggiungere l’area del promontorio del Gargano che quest’anno è tornato a crescere, in termini di arrivi, a differenza del Salento.

Un paese, quello di Margherita di Savoia, precedentemente chiamato le “Saline di Barletta” poiché villaggio in cui si svolgeva il duro lavoro manuale di raccolta del sale, bene prezioso, effettuato sotto il controllo ed alle dipendenze della limitrofa città di Barletta. Non è casuale infatti ascoltare e percepire talvolta un certo astio tra i due vicini rimasti confinanti, ma ormai entrambi dotati di propria autonomia comunale.

Tornando a Gaetano, il “rizzaio” (termine inesistente), l’artigiano di reti da pesca, dopo averlo osservato da un balcone tutte le volte in cui ero alla ricerca di un po’ di relax, finalmente scopro il suo nome, ed il suo volto. Un uomo mingherlino, col viso segnato dal duro lavoro e dal sole, si sa, il sole invecchia la pelle. Una persona di poche parole. Mi siedo affianco a lui, lo saluto, lui a malapena accenna a ricambiarlo, annuendo con la testa, come se volesse dirmi: “Ciao, puoi restare se vuoi”. Sono così felice di averlo ritrovato dopo giorni di assenza che decido di restare lì in silenzio per un po’.

Poi, la curiosità mi assale, e dopo una breve presentazione lo riempio di domande. Domande retoriche, che si pongono quando ci si incontra per la prima volta: “Come ti chiami? Che fai?”, fino a “Dove vivi?”. A momenti mancava solo gli chiedessi la carta d’identità! Proprio come facevano le nostre mamme quando rispondendo ad una chiamata che raggiungeva la linea telefonica fissa di casa, sentendo dall’altra parte una voce maschile che chiedeva “Posso parlare con….?”, rispondevano: “Chi sei, come ti chiami, di chi sei figlio?”.

Così Gaetano Ronzini, 76 anni, comincia a parlarmi della sua vita. Abita proprio lì vicino, a due passi da quel luogo, che poi scopro essere un vecchio cimitero, ormai inesistente, in memoria del quale ci hanno successivamente costruito un monumento. In quel momento noto però che Gaetano, con il suo ago gigante (rispetto a quelli che noi comunemente utilizziamo) sta riparando una rete diversa dal solito.

“Di che si tratta?”, gli chiedo.

“Questa -mi spiega- è una rete da posta”.

“Di cosa è fatta e come si utilizza?”

“ È di nylon. In questo caso di colore verde, di 20-30 metri di diametro. Così chiamata poiché si lascia in mare, sul fondale, per catturare le specie di pesce che ne restano incastrati. Con galleggianti in cima e piombo alle estremità”.

Non richiede quindi la presenza di qualcuno che stia lì a controllarla. Viene lasciata la sera e la mattina si torna a prenderla con ciò che ne rimane intrappolato: il pescato del giorno.

“Ma tutte le volte vedevo che tu riparavi reti diverse da questa!”, affermo.

Non risponde, si alza, va via speditamente senza dire una parola, senza che io possa capirci qualcosa. Resto in attesa, a volte le parole non servono. Gaetano è un uomo d’azione, un uomo del fare. Intuisco che tornerà. infatti, dopo poco torna con una di quelle magnifiche reti che gli ho visto riparare tante volte. “Questo è il RIZZAGLIO a mano” – mi dice.

Si sposta, va dove c’è il sole. Di un colore meraviglioso, è l’ora del tramonto. Tutta la pietra del monumento riflette la stessa luce aranciata, rossastra.

Gaetano è felice, abbozza un sorriso. Lo avverto, finalmente qualcuno si sta interessando alla sua passione, al perché trascorresse tante ore per riparare reti che ormai quasi più nessuno sa sistemare. Oggi in cui tutto si compra, si utilizza, si consuma e si butta.

Gaetano no, lui rammenda. Mi racconta che ha fatto il pescatore per vent’anni, da quando ne aveva otto. Poi le cose sono cambiate, non si riusciva più a vivere solo di pesca. E così all’età di ventitré anni è diventato dipendente comunale, faceva il custode nella villa comunale a Margherita di Savoia. Adesso è in pensione e può dedicarsi alla sua passione.

Mentre comincia a parlare un po’ di più, mi mostra come si apre, come si lancia il “rezzaglio”. Anche questa è un’arte, bisogna allenarsi per imparare a farlo formando una specie di campana, utile a catturare i pesci che ne restano intrappolati con la sua chiusura. All’improvviso, con un gesto lancia questa rete circolare dinnanzi a me creando un cerchio sul pavimento che occupa un diametro di circa 15 metri (aggiunge dopo).

“Questa l’ho fatta per mio figlio”.

“Quanto ci hai impiegato?”

“Un mese con due ore al giorno di lavoro. È tutta fatta a mano, con i piombini sotto come pesi”.

“E dove la utilizza tuo figlio?”

“In riva al mare, al Porto Canale oppure alla foce dell’Ofanto”.

“Alla foce dell’Ofanto?”, gli chiedo perplessa.

“Quello è un fiume, l’acqua è dolce”, affermo.

“Come mai pesci di mare vanno lì?”

“Perché a loro piace l’acqua dolce”.

“E quali specie si pescano?”

“Cefali, sogliole, spigole, seppie”.

“E i cannolicchi, ci sono?”, chiedo.

“No, sono in via di estinzione”.

“Perché?”

“I granchi blu. È pieno, sono in tutto l’Adriatico!”.

E qui Gaetano ritorna ad essere nostalgico. Di ciò che era, di ciò che sta passando…anche di moda, e di ciò che forse non ci sarà più. Ma chissà che qualcuno non impari da lui questa bellissima arte del produttore e riparatore di reti da pesca e lanciatore del rezzaglio. Alla fine Gaetano, prima di salutarci, si allontana nuovamente, lo vedo arrivare con qualcosa in mano, e mentre scorgo un’espressione di gioia mi porge qualcosa: un rezzaglio in miniatura, color fucsia, un dono per ricordarmi di lui, della sua arte, della sua maestria artigiana.

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