Chef Alfredo De Luca: “La cucina del futuro? Semplice ma non facile”

A che servono le promesse se non a rimangiarsele? Di esempi altolocati ne abbiamo a ufo: “Non fare mai quello che dici, non dire mai quello che pensi, non pensare mai a quello che fai!” Si tratta di una massima che consente a chi ha il potere di mantenerlo e di campare mettendo da parte la coscienza. Ora qui di potere vi è poco nulla e, dunque, il rispetto della coerenza dovrebbe esser gradito.

Ragionammo qualche tempo fa sulla cucina del 2030 nella amata Puglia, e fissammo dei paletti sulla età anagrafica dello Chef. Ecco, dobbiamo transigere sul vincolo della età. E dobbiamo farlo perché qualche sera fa nel 2030 ci siamo già stati e ne facciamo cronaca al ritorno. Lo Chef è Alfredo De Luca (attualmente in forza alla Taverna del Porto di Tricase) ma non possiamo non citare chi ha messo la macchina del tempo. Si chiama Mirko Verdesca ed è uno dei due inventori del Bluebeat di Lecce.

L’effetto scatenante?

Una cena fra amici tra birra e tradizione culinaria (cavallo di battaglia di Alfredo) e l’occasione a Casamassella, frazione di Uggiano, ristorante ospitante la Gramola nel contesto della Fondazione Le Costantine.

Siamo nell’era di «All in Net» e quindi vi risparmio il Sindaco, la Fondazione e tutto il resto, certamente degno ma che ha ampia e fulgida descrizione ovunque. A me resta il racconto del 2030. Solo una premessa mi concedo: Le Costantine è luogo immerso nella bellezza della campagna idruntina, nel quale vi sono ancora telai antichi guidati da mani sapienti che intessono trame e ordito per opere di una bellezza (e di una preziosità) assolutamente fuori dal comune.

La chiave per leggere il futuro?

“Una cucina semplice ma non facile.” Così la ha definita Alfredo. Una sintesi da etichettare.

E questa tavola è stata declinata con le birre di Agostino Arioli.

La metodologia? Abbinare il cibo alla birra (italiana) rivendicando la territorialità. Un pochino come il macramé, a intrecciare fili diversi per figure oniriche senza usare tagli o strumenti complicati. Mi perdonate se non vi narro le birre, tranne una straordinaria Wildekinde che, da sola, vale il viaggio.

Per i piatti vado per ordine: Pane e alici – what else? Ci sarebbe da dire. E invece se il pane sono due fettine di pane sottili e croccanti, in mezzo l’alice cruda condita con una gelatina di scapece (quella con lo zafferano) cominci a pensare che basta misurare l’aceto, basta far scattare l’eleganza e la successione di Ziryab parte con il migliore dei passi.

Poi arriva uno spiedino con un totanetto fritto, un pezzo di focaccia rustica e una pura “genialata”: la “milunceddhra” in agrodolce profumata dall’origano di Porto Badisco. Unico elemento radicato la focaccia, il resto identitario e semplicemente “spaziale”.

Poi comincia il Tagadà, tra mille gusti e suoni coinvolgenti, si parte da “fave e friggitelli” e scappa il sorrisino e il pensiero nascosto “ammazza che novità” e poi invece scopri che il puré di fave non è un puré ma è un hummus di fave e che il friggitello è ripieno di … ricotta al limone profumata con erbette, e il tutto si accompagna ad una cipolla in agrodolce spettacolare. A metter collante e spinta Olio EVO all’alloro e una generosa dose di critimi sapidi e profumati.

Il tempo di riaversi e una spallata dolce e possente ti stende su una pelliccia di orso morbida e satinosa. Un muro viene infranto, un tabù violato: la pasta e ceci, li ciciri e trìa, si vestono di ruote pazze, ceci affumicati, cozze all’ampa e … una salicornia saporita che fa da contraltare al pecorino. Piatto difficile, di mille stimoli e di unica armonia. I ceci non sono tutti della medesima consistenza e nemmeno la pasta e poi la cozza all’ampa richiama la mignulata e la salicornia il tempo della povertà. E tutte insieme restituiscono uno spazio felice. Mentre scrivo questa riflessione ho saputo che Alfredo ha proposto il piatto, come fuori menù, a La Taverna de Porto. Non oso immaginare il successo.

Del secondo e del dolce?

Mi spiace ma a questo giro nemmeno i titoli vi racconto, ho qui soltanto il desiderio di vivere fino al 2030, perché questi piatti ci arriveranno e io voglio condividerli con mio nipote.

P.S. Comprendere il Macramé è difficile, come il tombolo e il chiaccherino. Ma una volta apprezzati è assai difficile tornare indietro. Come per la pasta e ceci del futuro.

 

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