Farina, sale e tradizioni: il pizzarello tra Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi

Il pizzarello è un racconto: narra la tradizione di un territorio che, nelle sue molteplici identità, condivide radici comuni. Cambiano gli ingredienti, ma resta immutato il suo valore: quello di un cibo semplice che unisce, nutre e custodisce la memoria della comunità, intrecciandosi con gli elementi del folclore religioso locale. E tra impasti, profumi e devozione, “u’ pizzariddè” continua a portare in tavola storie di identità e tradizione.

Attraverso un approfondimento speciale a cura del Viva Network in collaborazione con Pugliosità, raccontiamo questo prodotto lungo un itinerario che dalla costa, nelle città di Molfetta e Giovinazzo, si sposta nell’entroterra verso Terlizzi.

Condotto dalla giornalista del Viva Network Ida Vinella, con la regia di Davide Petruzzella, per la realizzazione del video “Pizzarello: farina, sale e tradizioni” hanno collaborato Nico Magarelli e Domenico Pace (Pane & Amore – Molfetta), Francesco Manzari (La Nuova Tradizione – Terlizzi), Natale Scioscia (Voglia di Pane – Giovinazzo), Paolo Malerba (TerlizziViva), Gianluca Battista (GiovinazzoViva).

Ecco come si presenta nelle tre città della diocesi.

A Molfetta la ricetta è molto semplice: farina, acqua, lievito e olio. La sua farcitura tradizionale è con tonno, capperi, pomodori e olio EVO. Nel corso dei secoli si consolida la tradizione legata alla Quaresima e ai riti penitenziali: sia i confratelli, protagonisti delle processioni, sia i fedeli non rinunciano a questo simbolo immancabile della Settimana Santa molfettese.

Nella vicina Giovinazzo il pizzarello è molto simile alla tradizione molfettese. Anche qui l’origine narra di un prodotto realizzato in casa e distrubuito ai confratelli per le processioni notturne. Le Confraternite giovinazzesi arrivano a ordinarne anche 30 kg ciascuna, rafforzando il legame con i fornai locali.

A Terlizzi il pizzarello, pur condividendo il nome con la variante molfettese, è tutta un’altra storia: ha una forma allungata, con un impasto tipo focaccina, e si contraddistingue per la presenza sul dorso di sei pomodori (tre per lato), con un richiamo religioso alla Trinità e ai tre chiodi del Cristo crocifisso. Farcito spesso con mortadella e provolone, non è strettamente legato alla Quaresima: si mangia tutto l’anno, soprattutto il venerdì.

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