Il futuro in Puglia è “autoctono”. Dal Susumaniello al Primitivo, la parola a chi nel Salento ci ha sempre creduto

La tradizione che lega il vino alla riscoperta è viva più che mai. In tempi difficili e con un mercato che cambia, è il momento di mettersi in ascolto. Lo afferma con forza Romina Leopardi Rubino, direttore marketing e comunicazione di Tenute Rubino che con i suoi 179 ettari divisi in 5 tenute diverse – di cui 23 ettari solo dedicati al Susumaniello – ha fatto all-in sulle varietà autoctone come Primitivo o Negroamaro, solo per citarne alcuni.

Per Romina vale la regola assoluta “la fortuna aiuta gli audaci” e al caso non ci crede, ed è così che è iniziata la vincente storia di Tenute Rubino. Luigi Rubino, compagno nella vita e nel lavoro, 25 anni fa ha accolto l’eredità di papà Tommaso, la vite. Luigi ha saputo andare oltre il “tutto e subito” trasformando le terre destinate alla coltivazione intensiva di uve da vendere in un vero e proprio tesoro da imbottigliare. “Luigi ha ricevuto da suo papà le tre tenute e in tutti e in tre gli impianti si potevano trovare varietà autoctone. La visione dettata da una mentalità imprenditoriale innovativa e ciò che ha avuto a disposizione, assieme a una tempistica favorevole. Questa congiunzione ha fatto sì che il vino prodotto destasse l’interesse del pubblico di bevitori”.

Erano i primi anni del Duemila e il mondo veniva fuori da altre crisi del mercato vitivinicolo – alla fine la tranquillità non è mai esistita – e il dilemma è stato come vendere questi vini dai nomi sconosciuti a chi, soprattutto fuori Italia, non riusciva neanche a ricollocare la Puglia e il Salento. “Ci sono vitigni autoctoni più popolari che hanno fatto la loro strada, altri vitigni che hanno avuto dovuto faticare per emergere. Ad esempio il Primitivo ha sempre avuto la strada spianata, soprattutto in mercati come quello tedesco, olandese e svizzero. Allo stesso modo è accaduto per il Negroamaro”.

Ma Tenute Rubino – che ha puntato sull’autoctono a tutti i costi – ha scelto di potenziare la “Cenerentola dei vitigni autoctoni” come Romina chiama simpaticamente il Susumaniello. L’impresa non è stata certo semplice, una sfida dal punto di vista agronomico ed enologico. “In una delle tenute il Susumaniello c’era già, ma non ce n’era tanto. Abbiamo insistito con questa varietà affiancando alla ricerca agronomica ed enologica, l’intraprendenza. Non sapevamo niente di come potesse rendere, non c’era storytelling, nulla. Era un perfetto sconosciuto. La sperimentazione fatta di microvinificazioni vendemmia dopo vendemmia ci ha portato a capire che questo vino doveva essere raccontato, quindi venduto, in tutta la sua semplicità. Questa è stata la formula vincente che ha portato il consumatore a volerne sempre di più e a noi di provare ad accontentarlo. Oggi in commercio ci sono ben 6 tipologie di Susumaniello e la sperimentazione ancora continua. Proprio qualche mese fa abbiamo assaggiato il Metodo Classico rosè da Susumaniello con un affinamento di 100 mesi sui lieviti. La dimostrazione che abbiamo ancora tanto da studiare in quanto le qualità organolettiche rilevate al calice sono eccezionali”.

Da nord a sud dell’Italia il concetto di autoctono sta riscuotendo successo è come se si vendesse da solo, potremmo dire, e anche in Puglia non si fa eccezione. “Un vino da autoctono si vende e si racconta per ciò che è, come un’espressione di una certa area regionale e territoriale – conferma Romina, con un motivo ben preciso – I consumatori sono interessati a mettersi alla prova, a scoprire differenze tra ciò che sono abituati a bere e ciò che non hanno mai bevuto. A conquistare è l’unicità di quel vitigno che si coltiva solo in presenza di quelle condizioni pedoclimatiche precise. L’interpretazione enologica poi, fa tutto il resto”.

Tenute Rubino ha tenuto fede alla tradizione “rossista” della regione con il Primitivo su tutti, premiatissimo dai consumatori e in grado di vendersi da solo ovunque, in Italia all’estero, oggi invece, in sofferenza. La capacità imprenditoriale di fronteggiare la tempesta e portare in salvo la nave sta nel capire per tempo cosa fare, e la ricetta, secondo Romina Leopardi Rubino è mettersi in ascolto del consumatore, perché è lui ad avere sempre l’ultima parola. “Non produciamo mai per noi stessi e il mercato oggi ci chiede vini differenti – non più i vinoni – piuttosto un prodotto semplice da consumare, con un grado alcolico più basso, fresco, dall’acidità maggiore e affinamenti meno invasivi, che rispetti le caratteristiche del varietale. In sostanza ci chiedono di rendere il Primitivo o i rossi della nostra tradizione più gastronomici. A noi tocca trovare la quadra con la produzione”. E se la ricetta, per alcuni, è rifugiarsi sull’isola del no alcol o del low alcol, da Tenute Rubino la posizione è chiara e netta. “Come azienda non crediamo nel prodotto no alcol perché non sarebbe vino. Piuttosto valutiamo il contenimento del grado alcolico in campo e, se serve, in cantina. La natura consegna il suo frutto e sta a noi decidere come e quando intervenire”.

Il vitigno autoctono piace ai wine lovers è tanti sono i progetti importanti che ruotano attorno ai vitigni di ogni regione, senza fare eccezione per la Puglia. Dalla spumantizzazione in poi, l’autoctono è un altro modo per creare nuovi flussi turistici, creare una nuova economia che ruota attorno al business del vino. Se Tenute Rubino ci ha creduto già 25 anni fa, ora la domanda è se l’autoctono possa traghettare il mondo del vino verso il futuro. “Il nostro interesse è sempre stato sui varietali – dice Romina – e la convinzione, col passare del tempo, si è rafforzata a ragione veduta. Come tutti in campo avevamo anche Chardonnay, Merlot e altre varietà internazionali, ma il nostro interesse non era focalizzato su varietà meno conosciute. In futuro quindi, si intensificherà la necessità di produrre da autoctono per parlare al meglio della nostra terra”.

Autoctono è già bello, ma lo sarà ancor di più in questo nuovo rinascimento. Tenute Rubino, d’avanguardia nella promozione però, non intende fermarsi e per il futuro pensa a nuovi progetti e fronteggia sfide importanti, come quella del cambiamento climatico e della siccità che sta mettendo a dura prova la viticoltura regionale e del Mezzogiorno in generale. “Lavoreremo ancora sul Susumaniello per renderlo ancor più perfomante sul mercato, continuerà un lavoro di promozione per far sì che abbia quella popolarità più che meritata”.

Gallery