Pugliesi e autoctoni, ecco la lista dei vini da bere per quest’estate

Una bottiglia di vino è sempre una buona idea, anche se le temperature salgono senza sosta. Occhio però, ad andare oltre i soliti cliché e a concedersi qualcosa di davvero unico. Nell’epoca della riscoperta dei vitigni autoctoni, sono molti i produttori che stanno riscoprendo le proprie radici andando a vinificare varietà della tradizione. Nero di Troia, Bombino e varietà dimenticate, oggi diventano il pretesto per raccontare una storia, quella di ciò che siamo stati e di quello che oggi non vediamo l’ora di bere al calice. Che sia in spiaggia o per una rustica cena all’ombra di ulivi secolari, non facciamoci mancare queste etichette.

Lo spumante da Nero di Troia

 Il Nero di Troia è sempre stata una di quelle varietà destinate al “taglio” e non da apprezzare in purezza. Oggi alla riscoperta di chi siamo, enologicamente parlando, il Nero di Troia prende il suo riscatto e diventa un protagonista a tavola. Vinificato in rosso nella sua versione più forzuta o in alcuni casi anche in bianco, è lo spumante a regalare grandi soddisfazioni. Un progetto, quello da metodo classico da Nero di Troia, l’ha portato a termine Francesco Mazzone. Il Lucy 2020 Rosè ha fatto il suo debutto sul mercato quest’inverno e promette di essere un film a lieto fine. Convince per storia, per importanza al naso con i suoi profumi di ciliegia e amarena fresca. Al gusto ricalca la filosofia di Francesco Mazzone, essenziale e dritta al punto. È arrivato il momento di fare spazio a tavola per un aperitivo unconventional che guarda alla Puglia murgiana senza filtri.

Chiamatelo rosato e non rosè

L’azienda Santa Lucia è un’istituzione nel territorio del Nero di Troia. Siamo a Corato, ai piedi del Castel del Monte e qui Roberto Perrone Capano porta avanti un sogno di famiglia che dura da duecento anni. L’innovazione in cantina è di casa, quindi poche etichette, ma una visione, quella dell’eccellenza. Il rosato è Fiore di Ribes, 80% di Bombino Nero con una percentuale variabile di Nero di Troia per fortificare la sua struttura e renderlo non solo il classico vino da aperitivo. Solo 7000 bottiglie per questo Castel Del Monte DOCG, una chicca. Ci piace perché già al naso è accattivante e sa di ribes ovvio, ma ha ricordi di macchia mediterranea. Ma al gusto è accattivante, non si perde ed è sempre a suo agio a tavola. Ci piace perché arricchisce un brindisi nelle calde serate estive e con una pizza ci va a nozze. Non chiamatelo vino semplice perché tra qualche anno potrà ancora stupire.

Il rosso new wave

Amalberga è tra le realtà più interessanti in fatto di vino pugliese e ne abbiamo parlato già qui (https://pugliosita.it/2024/06/12/cantina-amalberga-punta-tutto-sulla-doc-ostuni/). Citeremo l’Ottavianello, parente lontano del Cinsault francese, perché questa è una vera e propria chicca aziendale. Siamo nell’alto Salento ed è qui che Dario De Pascale ha voluto ridare vita e ciò che è stato degli autoctoni di zona. Tra Verdeca, Francavilla, Impigno e altri, non è mancato il nostro vitigno a bacca rossa del cuore. Conquista il suo Ottavianello perché è alla moda con una vinificazione semplice in acciaio, un naso pulito e intrigante si riconferma al gusto come un vino non semplice e scontato, anzi, un buon compromesso a tavola. L’Ottavianello è una promessa d’amore, quella per la Doc Ostuni che oggi vuole tornare a splendere.

Il bianco evergreen

Siamo nel cuore della Capitanata, nella parte nord della Puglia e tra le aziende che hanno fatto la storia c’è sicuramente quella di D’Alfonso del Sordo. Tra le cantine che hanno fatto la storia di San Severo, attiva dal 1860, si trova in terra di confine con la Campania, dove nascono commistioni interessanti, come la Falanghina. Cortecampana è una suggestione, quella di ritrovarsi in un luogo senza tempo, dove rivivono le tanto amate corti rurali con le campane che scandivano il passare delle ore, di lavoro ovvio. La Falanghina, che ben si presta per un pranzo estivo senza troppe sovrastrutture, racconta una storia, quella dei nostri avi e dell’era della fatica. Oggi possiamo godercelo come un ottimo compagno per un pranzo a base di pesce, come zuppe o il classico spaghettino con le vongole. Ci piacerà anche dopo qualche anno, dimostrando che anche i bianchi hanno qualcosa da dire con la giusta maturità.

Il Salice Salentino dal gusto moderno

 Per il 2024 l’azienda Giustini porta sul mercato un Salice Salentino pop, con poco legno – solo 3 mesi in barrique francese – e tutta l’anima del Negroamaro in bottiglia, quella destinata a durare nel tempo. Rami si chiama e promette di conquistarci già al naso con i classici sentori di prugna e ciliegia che vanno a completarsi con un sorso pieno e con il classico finale amarognolo, che non disturba, anzi completa. Un gusto, proprio questo, sinonimo di maturità e di un vitigno che vuole crescere, proprio come recita il claim dedicato al vino “Radici che affondano, rami che crescono”. Da ricordare, per goderselo, di abbassare la temperatura di servizio in base al proprio piacere e alla temperatura esterna. Perché un calice di Salice Salentino è sempre una buona idea, anche d’estate.

Artisti del Primitivo

Il Mezzanotte di Morella è uno di quei vini che potremmo definire gastronomici ma, in realtà, nascondono tutti i piaceri e la freschezza di un vino moderno. Lisa Gilbee, enologa australiana che dal 1992 è al timone dell’azienda di Manduria, lavora pensando al recupero di vecchie vigne ad alberello, dalla vigoria indiscussa e in grado di dare, ancora oggi, vini dalla grande potenza. Fermentazione spontanea in tonneaux e affinamento in botti di rovere senza filtrazioni o chiarifica. Al calice è interessante per la sua potenza, ma non sarà certo questo a classificarlo come “vinone” difficile da bere. Si presta, se ben raffreddato, ad accompagnare classiche cene estive a base di carne o di sughi rossi piacevoli. Lasciamoci affascinare dall’intramontabile Primitivo di Manduria.

La religione della Verdeca

La Valle d’Itria è un hub dove si celano tesori da scoprire e Giovanni Aiello questo lo sa benissimo. L’enologo per amore, come piace definirsi, produce nel cuore del Canale di Pirro, un’ampia depressione carsica a pochi chilometri dal mare. La sua Verdeca è essenziale e porta il Chakra come simbolo, in questo caso il verde. Una fermentazione tradizionale con uve pigiate e diraspate, col primo travaso, il vino rimane sulle fecce fini sino a febbraio, si susseguono continui bâtonnage che ne ampliano il volume e armonizzano il gusto. Ne viene fuori un vino intenso, profumato e adatto per accompagnare un aperitivo al tramonto sul mare. Che sia riviera Adriatica o Ionica non importa, basta che ci sia la Puglia negli occhi, nel cuore e al calice.

 

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