Chef Michele Iaconeta da Mattinata alle Dolomiti, portando nei suoi piatti la Puglia come fonte d’ispirazione

Fra i posti più chiacchierati del momento c’è sicuramente il Manna Resort, aperto nel 2021 fra Termeno e Cavalese, in Alto Adige, da Maria Luisa Manna, vedova di una leggenda del vino, Franz Haas. Ospita due ristoranti, l’informale Orangerie e il fine dining Luisa, di cui si occupa a sorpresa un cuoco originario di Mattinata, Michele Iaconeta, classe 1979. “Ormai da tanti anni ho lasciato la Puglia, che continua a essere una fonte di ispirazione permanente per la mia cucina”, esordisce. “Inoltre ogni volta che scendo, constato un’evoluzione che non mi sarei mai aspettato e prendo spunto da tanti colleghi, con cui sono sempre in contatto”.

Michele, come sei arrivato in cucina?

Ho mosso i miei primi passi nel mestiere a dodici anni, quando ho fatto una stagione estiva in un forno per la panificazione. Allora il lavoro in bottega veniva tollerato, anzi era quasi un pregio. Poi ho iniziato le mie stagioni estive, mentre frequentavo l’alberghiero a Vieste. Papà operaio, mamma bracciante agricola, in famiglia c’era solo uno zio ristoratore. Ma ho avuto la fortuna di vivere con le mie nonne e fuor di retorica, erano ottime cuoche, che mi hanno tirato fuori la passione. In particolare nonna Lucia cucinava quasi tutti i giorni pasta fresca, orecchiette, legumi, pane e focacce fatti in casa. Ricordo ancora le teglie di biscotti che cuocevano nei forni di quartiere. Sensazioni d’altri tempi.

Però sei partito.

Dopo il diploma ho lavorato per alcuni anni nel Gargano in un hotel grandissimo, una macchina da guerra molto complessa, di cui sono diventato executive a 23 anni, a causa della partenza improvvisa di chef e sous-chef. La cosa è andata avanti per quasi nove anni, finché non sono più riuscito a sostenere il fatto di essere autodidatta. Sentivo profondamente l’esigenza di conoscere altre cucine e confrontarmi con i colleghi. Così ho iniziato a girare, sono stato in Alto Adige, sono passato da Niederkofler in stage, al Vescovado di Noli, a Manchester da uno stellato, in Russia, dove ho aperto un gourmet, e da Azurmendi, prima di assumere la guida della Casa degli Spiriti sul Lago di Garda per 5 anni. Dopo il covid, però, c’era un punto interrogativo sulla struttura e così sono ripartito. Ho fatto una breve parentesi in Puglia a Polignano e sono stato contattato dal Manna Resort, dove ho appena compiuto il secondo anno da chef.

Come sei stato scelto?

Sono arrivato cinque mesi dopo l’apertura, per mediazione di un amico comune, fornitore di vini. È una struttura un po’ diversa dalle altre, anche per la proposta gastronomica. Faccio cucina mediterranea, ma ho in comune con la proprietà la passione per l’Oriente. Ed era proprio la formula che cercavano. Quando ci siamo conosciuti, è stata subito una conferma.

Quanta Puglia c’è oggi nella tua cucina?

La Puglia è al primo posto, perché alla fine servo una cucina di base mediterranea, più tutte le mie esperienze, i miei viaggi, quello che ho imparato nel tempo. Faccio arrivare tutto il pesce da Monopoli, molluschi, granchi, gamberi bianchi di Gallipoli, scampi, razza, triglie, cefali, sgombri… Per quanto riguarda la norcineria e i caseifici, invece, mi servo da piccole realtà locali, praticamente a chilometro zero. La pasta secca è di Felicetti o del pastificio Casa Prencipe, nel Gargano. All’Orangerie, dove la cucina è più quotidiana, faccio le orecchiette di grano arso, prima condite con acciughe di Cetara, cime di rapa e pane tostato, ora con pomodorini bruciati e cacioricotta. Mentre da Luisa, per esempio, servo la linguina al rombo col suo pil-pil, olio affumicato e caviale di aringa, che nasce dai banchetti di matrimonio in Puglia. Da noi il rombo è il pesce delle feste, ricordo che recuperavamo il suo fondo di cottura per la pasta del personale. Ma io uso una tecnica spagnola, appresa da Azurmendi, più kaffir lime, lemon grass e galanga. Quindi una salsa mediterranea, con uno spunto acido e piccante che la fa vibrare. Sembra panna, ma non lo è. Un’esplosione di sapori. Poi ci sono due antipasti che sono un tripudio di Mediterraneo: lo spaghettino di cardoncello locale con salsa al tartufo della foresta umbra e chutney di albicocca per l’acidità e il polpo freschissimo, che faccio arrivare già arricciato, farcito con malandra, erbette amare e panko, servito con pane allo zafferano.

Ci sono anche vini pugliesi?

Non tanto, anche se li amo. Trovo che le bottiglie della casa si abbinino molto bene alla mia cucina leggera. Sono grandi bianchi, rossi da pinot nero, aromatici come il moscato giallo e rosa, che entrano entrambi nel menu. Il primo nella testina di maiale nero e baccalà, un piatto dall’apparenza altoatesina, con un’emulsione che simula il beurre blanc, fresca e speziata; il secondo nella salsa di rapa rossa, burro al midollo di grigia alpina e anguilla affumicata, che condisce la pasta Felicetti.

Tortelli ostriche e fagioli 

Per la Pasta all’uovo:

500 g di farina 00 debole

100 g di semola rimacinata

350 g di tuorli d’uovo

75 g di uova intere

È consigliabile preparare la pasta il giorno prima, metterla sottovuoto e tenerla in frigo.

 

Per la crema di ostriche:

15 Ostriche San Michele del Gargano

80 g di olio di riso

Xantana

Sale e pepe

 

Per la crema di fagioli:

200 g di fagioli

Sedano, carota, cipolla, alloro

Sale e pepe

 

Per la finitura:

Burro qb

300 g di latte di capra

1 g di lecitina di soia

10 gocce di colatura di alici

1 scalogno

Polvere d’alga

Foglia d’oro

Cerfoglio

Olio extravergine di oliva

Con un minipimer iniziamo a montare le ostriche sgusciate, facendo attenzione a recuperare tutta l’acqua di vegetazione con l’olio. Verso la fine aggiungiamo la Xantana e Riponiamo in frigo per almeno 2 ore.

Mettiamo in cottura i fagioli già ammollati con acqua, sale, alloro, cipolla, carota e sedano. Scoliamo a cottura ultimata un po’ di acqua in eccesso e togliamo gli odori. Frulliamo, setacciamo e lasciamo stabilizzare in frigo.

Tiriamo la pasta molto sottile, la coppiamo con uno stampo tondo e spruzziamo sopra un po’ d’acqua. Usando due biberon ripieni delle farce, mettiamo al centro del disco due spuntoni di creme, poi chiudiamo come un normale tortello.

In un tegamino riuniamo lo scalogno e il burro, lasciamo scaldare, poi aggiungiamo il latte di capra e la colatura di alici. Lanciamo ridurre della metà, poi montiamo con il minipimer.

Al momento del servizio cuociamo i tortelli per 2 minuti in acqua bollente e li passiamo in padella con del burro salato. Poi assembliamo con il latte di capra montato con la lecitina, la foglia d’oro, 3 rametti di cerfoglio e la polvere d’alga.

 

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