Coniugare lo street food cinese con la tradizione barese non rappresenta soltanto un’indovinata operazione di marketing, ma è anche la sintesi di un significativo percorso umano e professionale. Si tratta del percorso affrontato e risolto dalla chef Stella Shi, che non a caso è ugualmente legata alle sue due patrie, la Cina e la Puglia appunto; e che non a caso nel settore della ristorazione ha iniziato a militare quando era giovanissima. È infatti nata e vissuta per un lungo periodo nel capoluogo regionale, perché il padre negli ultimi decenni del secolo scorso era il titolare di uno dei primi ristoranti cinesi aperti in città: Il Drago D’oro. Stella può quindi essere legittimamente definita una figlia d’arte, ed ha evidentemente seguito le orme paterne con entusiasmo e innato talento. Lo dimostrano le lusinghiere tappe successive, che la vedono ospite di Masterchef, e protagonista assoluta in un suo ristorante di alto livello a Roma.
La svolta fondamentale tuttavia deve ancora venire, e coincide con il rientro di Stella a Bari. Qui apre in via De Rossi il primo Badù, dove si cimenta proprio con lo street food e con il servizio di asporto e di delivery. Magari l’offerta non è particolarmente vasta, tra noodles classici, ravioli e bao, ma è di qualità e di folgorante successo di pubblico, con il pienone a pranzo e cena. Tanto da indurla a compiere un importante salto di qualità, in società con Ilaria Barosi. Ne deriva il raddoppio dell’attività, con la nascita di Badù Bistrot, incastonato tra un vicolo e una piazzetta del borgo antico, e più precisamente al piano terreno dello storico Palazzo Calò, trasformato da Luigi Morfini in un’esclusiva struttura ricettiva. E il fascino complessivo dell’albergo regala un ulteriore tocco di carattere agli ambienti caldi, accoglienti e raccolti, con volte basse, poltroncine e tavoli distanziati. Fino alla chicca delle rigogliose piante sistemate vicino alla cucina nei locali ipogei.
Cucina dalla quale cominciano ad uscire le preparazioni di Stella, che mirano a fondere con fantasia e creatività culture gastronomiche differenti, a partire dalle portate di benvenuto: tanto il battuto di podolica con foglia di mostarda ed emulsione di pomodoro, quanto la sgagliozza con battuto di piselli e ombrina. Si continua sulla medesima linea, con un’ampia gamma di declinazioni della freschezza, della delicatezza, e allo stesso tempo della concretezza dei sapori. Dalla ventresca di ricciola alla maniera (cinese) di Wenzhou con puntarelle; al giapponese chawanmushi, e cioè un budino tiepido a base di uova con brodo di pesce, telline e asparagi. Il tutto prima di procedere con due soluzioni forse più robuste ma non meno equilibrate, e davvero convincenti. Alla forza delle animelle con demi-glace alla liquirizia, chutney di pere nashi e cipollotto glassato; fa quindi riscontro quella del ramen burro e alici, con spaghetti di riso in brodo di alici affumicate, burro alle alici, uovo, spinaci e alga nori. Servizio attento e cortese, e un’interessante selezione enologica.