Fare ristorazione è un lavoro fatto di soddisfazioni e tantissimi sacrifici. Lo abbiamo scoperto durante il Covid. Passata la pandemia, gli addetti ai lavori hanno detto basta a una vita di assenze, doppi turni e zero riposo. Da tanto tempo Pietro Zito torna a casa e crolla con la tv accesa. Non sogna. O forse sì. Sogna di potersi sedere a tavola, con calma. Sogna del tempo per sé, come tutti quelli che alla cucina hanno dato tutto. Ha aperto Antichi Sapori nel 1993, a Montegrosso, un borgo a pochi chilometri da Andria, perché non riusciva più ad andare a trovare sua nonna materna. “Sento il tuo silenzio”, gli diceva per telefono. E suo nonno lo rassicurava dicendo che, dopo qualche anno di sacrificio, avrebbe potuto vivere più comodamente, come imprenditore.
Non è andata così. Lui, che di sacrifici è abituato a farne tanti e da tanti anni, l’unico che non è riuscito a sopportare è stare lontano dal suo borgo, dalla sua famiglia, dalla sua terra. Per questo la sera del 1° novembre 1993 ha aperto le porte di una piccola “osteria senza pretese”, come la definisce lui, oggi divenuta un modello per tantissimi ristoratori in Italia e nel mondo. Basti pensare che una copia perfetta rivive a Tokyo, dove Zito ha offerto la sua consulenza per riprodurre esattamente tutto ciò che viene fatto a Montegrosso.
Da contadino istruito ad archeologo di antichi sapori
Questa storia inizia nell’agro di Andria, a Nord di Bari. Figlio della terra, Pietro Zito ama la campagna. Il suo primo ricordo del cibo? Il pane caldo fatto da una vicina di casa, ricoperto di pomodori spaccati con le mani e la santa croce di olio extravergine d’oliva. La scuola non gli piace molto e, sin da bambino, vorrebbe seguire le orme di suo padre Francesco, bracciante agricolo. Ma sua madre Concetta si oppone. “Al massimo puoi diventare un contadino istruito”, gli dice. Per questo studia da perito agrario. Tuttavia, la sua qualifica lo porta a lavorare con la ristorazione. Inizia al Parco degli Svevi, realtà molto in voga negli anni Ottanta. Trova il suo posto come spesino, quello che oggi viene definito responsabile acquisti. “La ristorazione era il ripiego di chi non aveva una professionalità definita. Non potevi fare il carabiniere? Allora ti reinventavi cuoco o cameriere. Per questo le cucine erano piene di ubriaconi e bulli”.
Zito passa all’Ostello di Federico, punta di diamante del nord barese negli anni Ottanta. Lì, complici il suo carisma e la sua visione, finisce per guidare il team dal 1987 al 1991. “Lavorare con Luigi Sperone, gestore dell’insegna, mi ha trasferito la fissazione per la qualità senza compromesso. Mi mandava ovunque pur di portare a tavola il meglio del meglio”.
Nel 1988 Zito organizza un pranzo particolare. La filiale della Ras Assicurazioni di Andria decide di celebrare i suoi primi 25 anni con un pranzo il cui menu aveva un titolo evocativo: Antichi Sapori. “Inserimmo tutti i piatti tipici della nostra tradizione, anche se i cuochi inizialmente si rifiutarono di eseguirlo. Ma, passata la serata, il passaparola rese celebre questo menu tanto da essere richiesto anche da altri”. Quando arrivò il momento di mettersi al comando del proprio destino, Zito ricorda quella storia e trova così il nome per il suo ristorante.
“Accumenzàme bùn!”
Antichi Sapori è esploso sin dal primo giorno. Sono passati trent’anni, ma quel 1° novembre 1993 resta indelebile nella mente dello chef. “La mattina feci un pranzo con degli amici, che mi avevano aiutato a sistemare il locale. La sera accolsi il conte Spagnoletti Zeuli. Per noi del borgo il conte era un dio. Mia mamma era in cucina e aveva preparato una zuppa di fagioli, del ragù e una pasta con i funghi. Elencai questi tre primi al tavolo. Ma il conte chiese una cosa insolita, che noi di campagna odiavamo: le orecchiette con la rucola. Tutti si accodarono alla richiesta del conte. Così mandai mio padre in campagna con una torcia per cercare la rucola, mentre mia nonna impastava le orecchiette. Mio nonno, che era lì, disse solo “Accumenzàme bùn!”.
Ma anche Pietro Zito si è fatto ispirare da chi, prima di lui, aveva preso il concetto di osteria e ne aveva fatto un business. “Ero innamorato della cucina casalinga di La Tradizione, a Minervino. Era il mio posticino, quello dove portare gli amici. Quando aprii, non riuscivo a capire come gestiva i suoi numeri. Così chiesi a Giacomo di andare a lavorare con lui una settimana per comprendere il meccanismo. Mi sono ispirato a lui, che guida un’osteria autentica, fedele, che non cambia mai, secondo me un altro vantaggio. Avere il coraggio di non cambiare è come riuscire ad alimentare l’amore per la propria moglie per tutta la vita”.
“Antichi Sapori era l’unico modo per riprendermi quello che volevo. La mattina cucinavo, il pomeriggio andavo in campagna e rinascevo”. La cucina di Pietro Zito si comprende proprio attraverso i frutti della terra. Una foglia di rucola o di rape, annusata e poi assaggiata da cotta. “È una memoria storica che manca a molti e che noi ricostruiamo a tavola. Quindi si inizia dall’odore e poi si arriva al piatto, che deve essere semplice e ben definito, autentico, per farti desiderare quello che c’è”.
Mamma, li giapponesi!
Ad un certo punto di questa storia arrivano i giapponesi. Nel 2013, a vent’anni dall’apertura, una società specializzata nel replicare ristoranti italiani famosi in Giappone giunge a Montegrosso, consigliati dall’autista di questo team in visita nel Sud Italia. “Conoscevano Milano, Venezia, Firenze, Roma. Qualcuno arriva ad Alberobello, ma il resto è tabù. Dopo aver accolto questo gruppo, mi arriva una mail. Mi incuriosisce. Avevano già “clonato” altri dieci ristoranti. Ma la nostra cucina non è un pan di Spagna, che tu metti in forno con ingredienti, temperatura e tempo, e riesce sempre e comunque. La nostra cucina si nutre del territorio e, senza il nostro orto, non vive. Così mi hanno chiesto di formare i ragazzi sulle stagionalità, simili a quelle giapponesi, creando un rapporto continuativo basato su prodotti e ricette”.
https://andrialive.it/2013/10/08/gli-antichi-sapori-conquistano-tokyo/
Un faro di certezze
Oggi Antichi Sapori ha trent’anni. Il nome di Pietro Zito è diventato un faro di sapere – anzi, di certezze, come dice Zito. Il suo orto è leggenda, “un modo per prevedere il futuro”. In quello del ristorante c’è una cucina nuova, tecnologica, e la voglia di coinvolgere ancora di più lo staff di Antichi Sapori nell’attività. In più, per celebrare la ricorrenza, Secop Edizioni ha pubblicato C’è un Fuori e c’è un dentro, trent’anni di storie raccontate dal ristorante e dal suo borgo.
“Molti guardano a noi come una storia certa. È un traguardo che neanche io avrei mai immaginato. La mia vita è cambiata totalmente. Non mi siedo più a tavola, tranne quando mi viene il desiderio di spaghetti ai frutti di mare. Vado ancora Al Brigantino e ordino due piatti per riconciliarmi con me stesso”. A segnare il tempo che passa, le foto più importanti scattate in questi anni e custodite in cantina. “La gente viene qui, si fa una foto con me e poi la spedisce. Io la metto su questi muri per ricordare”.
Intanto, tutto intorno il mondo della ristorazione è cambiato. “Abbiamo tirato troppo la cinghia, pensando che anche per i ragazzi rinunciare alla propria vita personale fosse un sacrificio accettabile. Abbiamo la responsabilità di trasformare questo lavoro in un’attività da otto, nove ore, con il piacere e le soddisfazioni conseguenti. La ristorazione non deve più essere un ripiego, come lo era negli anni Ottanta. E per operare questa trasformazione si deve dare dignità al cibo, senza svenderlo, studiando bene i prezzi”.
Quando gli si fa presente che forse fuori da Montegrosso avrebbe potuto avere ancora più successo, lui risponde: “Immagina avere la mia cucina nel centro storico di Andria. Senza l’orto, dove io rinasco. Senza il desiderio innescato dal viaggio per venire qui. Senza gli ulivi. Io sono lo specchio del territorio. Non avrei potuto raccontare niente in città come Andria o Bari e oggi non avrei il successo che ho avuto. Non è vero che se si è bravi in un posto, lo si è ovunque. Le giuste coordinate possono fare la differenza”.