Nato a Barletta, 33 anni, incredibile talento tra i fornelli e una prestigiosa carriera nel Regno Unito, precisamente a Londra dove ha vissuto per ben 15 anni. Abbiamo intervistato Francesco Dibenedetto, head chef di Bibendum di Claude Bose a Londra, dove ha confermato in soli quattro mesi le due stelle Michelin del precedente Hibiscus Restaurant sempre a Londra. È stato anche capitano della Nazionale Italiana Cuochi, ma nonostante la sua esperienza internazionale si descrive così: «Sono fierissimo di essere pugliese ma soprattutto barlettano. Le origini non si cambiano e non si dimenticano, l’amore per la mia terra resterà sempre con me pur vivendo nella mia seconda città ossia Londra».
Come è iniziata la sua carriera nel mondo del food? Dove ha fatto le prime esperienze tra i fornelli?
«Ho cominciato molto presto, all’età di 14 anni, quando ho fatto la mia prima esperienza nel Gargano, ma il mio vero motore di crescita e di continua linfa è stata la mia esperienza con gli chef pugliesi Corrado de Virgilio e Domenico Maggi a cui devo tanto per quello che hanno fatto per me e per aver creduto in me sempre. Ho un rapporto speciale con questi due chef che porterò sempre con me. Da lì è scaturita la mia continua ricerca e la curiosità di viaggiare e conoscere nuovi posti, culture, ingredienti e di poterle fondere con la mia, in un inimitabile mix esplosivo. Sono seguite le esperienze in Francia con Robuchon, a Chicago con Alinea, e in Inghilterra con la famiglia Roux prima e con Claude Bose dopo sino ad oggi. L’anno scorso in particolare è stato un anno speciale e indimenticabile e penso che lo porterò con me per tutta la mia vita. Sono stati quattro mesi durissimi ma intensi, con grandi emozioni e tensioni. Qualcosa di indescrivibile! Siamo riusciti a confermare le due stelle ed è stata una cosa fantastica di cui ringrazierò sempre il mio team perché senza di loro non sarebbe stato possibile».
Dall’Italia all’UK come cambia la prospettiva di lavoro e di carriera? E il rapporto con il cibo?
«La personalità e il cibo sono due cose parallele: il cibo riflette la persona, la sua ideologia e la sua cultura. Il cibo non è altro che la pura identità di ognuno di noi, rispecchia la nostra personalità e la nostra cultura. La ricerca, lo studio, il continuo porsi domande e il viaggiare per territori nuovi sono essenziali per il continuo investimento di crescita che si fa su se stessi. Molti parlano di cucina moderna, l’importanza nell’esecuzione di un piatto, ecc… ma chi parla di ingredientistica? Del rispetto del prodotto, della stagionalità, delle varietà, delle caratteristiche? In pochi! Ed è una cosa molto triste: nella mia ideologia di cucina l’ingredientistica è la linfa vitale e dobbiamo sempre approfondirla».
Del nostro territorio, e soprattutto di Barletta, porta con sé nel cuore qualche ricetta o ingrediente speciale che si ricollega alle sue origini?
«Con me porto sempre qualcosa di pugliese e barlettano! Ho adesso in menu ricette che hanno connessioni con il mio territorio, come il riccio, la triglia, i latticini, la focaccia e tanti altri che cerco sempre di divulgare ai clienti all’estero».
Grazie all’esempio di affermati e talentuosi giovani chef come lei sono tanti i ragazzi che vorrebbero fare la stessa carriera. Quale consiglio vorrebbe dar loro?
«La sola cosa che posso dire ai ragazzi è: umiltà, amate ciò che fate, spirito di sacrificio, essere pronti a tante sfide, ma portare sempre con voi quel sogno e quella passione che premia tutti prima o poi. Credeteci e fate questo non per lavoro ma come se fosse linfa vitale per vostra vita. “Food is life”».