Esperienza e formazione sono le parole che in questi anni hanno caratterizzato la vita di Domenico Ungaro, chef di origine pugliese, Noicattaro la sua città Natale, che per più di quindici anni ha affiancato gli chef dei ristoranti stellati più importanti d’Italia e d’Europa. L’incontro con Gualtiero Marchesi, simbolo della cucina italiana nel Mondo, gli ha permesso nel 2005 di lavorare per tre anni all’Hostaria dell’Orso, ristorante stellato di Roma. Due gli insegnamenti acquisiti durante questa esperienza: disciplina e rispetto per le materie prime. Ungaro continua il suo processo formativo, affinando le tecniche di impiattamento nel ristorante stellato “Villa Fiordaliso” sul lago di Garda, nella brigata dello chef allora giovanissimo Riccardo Camanini.
Nel 2008 vola alla volta di Madrid dove ad aspettarlo c’è Paco Ronce nel suo ristorante stellato “La Terrazza del Casino”, gestito in collaborazione con lo chef padre della cucina molecolare, Ferran Adrìa. Da Madrid si sposta a Barcellona e nel 2010 è il secondo chef del ristorante “Moo” dello chef Joan Roca. Da qui si sposta al ristorante stellato “Alkimia” dello chef Jordi Vilà e gli ultimi cinque anni della sua esperienza spagnola lo vedono totalmente immerso in un ruolo che ricopre molteplici responsabilità al “Mont Bar” sempre di Barcellona. Ungaro ha un carattere schivo e poco propenso alle attenzioni mediatiche, lavora senza sosta per realizzare un bagaglio di esperienza e formazione che ha deciso di mettere a frutto in Puglia, tornando in quella terra che per troppi anni gli è rimasta lontana. Lo stop forzato della Pandemia l’ha spinto a rivalutare la sua dimensione privata, volendo un futuro che rispettasse i suoi tempi e che fosse a misura dei suoi desideri.
Ci racconti com’è nata la passione per la cucina?
Sinceramente è nata per caso, avevo deciso di iscrivermi al liceo artistico, poi, invece, ho scelto l’istituto alberghiero perché volevo entrare subito nel mondo del lavoro. Da piccolo ho avuto al mio fianco due brave cuoche: mia mamma e mia nonna Domenica.
Hai fatto tanta esperienza fuori dalla Puglia, cosa ha significato?
All’estero sono cresciuto a livello professionale molto più rapidamente perché mi sono interfacciato con persone di varie origini, avendo così uno scambio maggiore. Ho imparato a vedere la cucina sotto varie sfaccettature, raggiungendo la possibilità di avere un pensiero globale.
Nelle cucine che hai girato avevi modo di proporre piatti o prodotti pugliesi?
Ho portato qualcosa delle mie origini, anche piatti definiti icone italiane come ad esempio il Tiramisù, che ho realizzato in una versione rivisitata.
Cosa ti ha insegnato lavorare con Marchesi?
Il rigore di un ristorante con una Stella Michelin e l’approccio alla materia prima, da questa esperienza ho capito che questo era il mio ambiente, la cura dei dettagli, l’attenzione e la professionalità riservata a così pochi posti era qualcosa che mi affascinava.
L’idea di tornare in Puglia con un tuo ristorante era da sempre tra i tuoi progetti?
Sinceramente no, è capitato. L’idea di aprire qualcosa che fosse mio l’ho avuta prima del Covid, dopo la pandemia ho voluto resettare la mia carriera, prendermi del tempo che fosse mio per riflettere e capire cosa voler fare. Ho lavorato tanti anni senza sosta era arrivato il momento di capire di cosa avessi bisogno davvero, così ho deciso di tornare in Italia, ma con l’idea di lavorare su un mio progetto.
Perchè hai sentito il bisogno di fermarti?
Dalla scuola fino al Covid non mi sono mai fermato e la dedizione al lavoro è stata tanta. Il Covid mi ha dato la possibilità di restare da solo con i miei pensieri, ho preso un anno sabatico per me e mi sono dedicato con tutta tranquillità a questo nuovo progetto.
Come mai hai scelto Monopoli per l’apertura del tuo ristorante?
Volevo un ristorante che si affacciasse sul mare e credo che Monopoli è un paese che può offrire tanto ed è un luogo fertile dove poter seminare nuove esperienze gastronomiche.
Che tipo di cucina proponi?
Una cucina di mare con prodotti locali e nazionali.
I piatti e i prodotti pugliesi a cui sei più legato?
I pomodori, i frutti di mare, la cima di rapa, solo quando sono di stagione, le mandorle, le ciliegie, il fico.
Che significato ha il nome del tuo ristorante?
Il termine “Radi” sta per radice, quindi un mio ritorno alle radici, mare, invece, è un mio omaggio ad esso.
Cosa consigli a un giovane ragazzo che vuole intraprendere questa professione?
Gli consiglierei di non fermarsi mai al primo ostacolo, perchè ne troverà tanti lungo questa strada e di intraprendere esperienze fuori dal contesto della nostra regione per avere una visione più aperta e poi sicuramente un consiglio che mi sento di dare è quello di saper osare.
Cosa ti mancava della Puglia quando eri fuori?
La mia casa ovviamente e i prodotti tipici del nostro territorio, fuori dalla Puglia qualcosa si ritrova ma non ha lo stesso sapore.
Quali sono i riscontri che hai dalla clientela?
Diciamo che siamo ancora in una fase di rodaggio, abbiamo aperto il 20 dicembre scorso, ma il feedback che ricevo è positivo, ai nostri clienti piace ritrovare nei nostri piatti quel mix di sapori che ci caratterizza. Ho lavorato per anni nei ristoranti stellati ma adesso non mi vedo proiettato verso il raggiungimento della stella la mia ambizione è quella di realizzare piatti che possano restare nella mente di chi li assaggia. Ho una squadra giovane che mi affianca: in cucina ci sono Vito Battista e Leandro Buono, entrambi venticinquenni, mentre la sala è affidata a Cinzia Lo Schiavone.
Fra dieci anni dove e come ti vedi?
Vorrei che il mio ristorante potesse diventare un punto di riferimento in Puglia e fosse riconosciuto anche a livello nazionale, grazie a una cucina contemporanea che guarda al territorio. Fra dieci anni mi vedo con una mia famiglia anche se ora vivo davvero per il lavoro a cui ho dato anima e cuore, ma ho capito che non posso vivere di solo lavoro e sto cercando con questa attività di dare un giusto equilibrio alla mia vita.