Si pensa che gli spaghetti all’assassina siano un piatto antico della tradizione barese, nato dal recupero della pasta avanzata il giorno prima. Non è così, anche perché la pasta che si faceva avanzare era il ragù della domenica, fatto con le orecchiette o i rigatoni, e ricordo bene che mia nonna me li “sfriggeva” la sera in un padellino di alluminio.
Ma la nascita degli spaghetti all’assassina, invece, risale al 1967 allorquando Enzo Francavilla, foggiano, titolare del Sorso Preferito a Bari, li inventò di sana pianta per due clienti che si erano accomodati ai tavoli della sua trattoria.
I due avventori gli avevano chiesto un piatto che fosse gustoso e sostanzioso, così Francavilla preparò per la prima volta questi spaghetti con sugo di pomodoro, piccanti e un po’ bruciacchiati.
Poi chiese loro se avessero gradito, e la risposta fu affermativa.
“Buonissimi davvero – disse uno dei due – sei proprio un assassino!”
Il motivo di questa affermazione era dovuto al fatto che gli spaghetti erano piccantissimi, motivo per cui erano stati costretti a bere tanto.
Da quel momento in poi quel piatto entrò a far parte del menù del ristorante, con il nome, appunto, di spaghetti all’assassina.
Successivamente il “Sorso Preferito” fu rilevato da “Nanuccio” Lonigro, Giuseppe Saracino e Mimì De Cosmo e poi si aggiunse alla società anche il fratello di Nanuccio, Pierino Lonigro, che ne è attualmente il titolare.
Al Sorso Preferito gli spaghetti all’assassina, da allora, si sono sempre fatti, però al di fuori di quel ristorante, per un lungo periodo, non li preparava più nessuno, a parte il “Refugium Peccatorum” di proprietà dell’architetto Vito Maffei.
Nel tempo, poi, un gruppo di amici formò l’Accademia dell’Assassina, che ha anche dato il suo contribuito a riportare in auge questa ricetta, attualmente preparata in moltissimi ristoranti di Bari.
Gli spaghetti all’assassina sono stati anche protagonisti di un libro di Gabriella Genisi, riportato in tv nella fiction di successo “Le indagini di Lolita Lobosco”.
Però, come accade troppo spesso, purtroppo, la popolarità di questo piatto ha creato un utilizzo smodato da parte di alcuni ristoratori baresi, che bruciacchiando ogni piatto hanno creato delle varianti, a mio parere davvero insulse e inutili.
Facile trovare oggi la versione con la stracciatella o, peggio, quella nella quale vengono bruciacchiate persino le rape, oltre alle varianti più fantasiose, con pesce crudo, ai frutti di mare, alla Sangiuannìdde e altre ancora.
Il fatto che io non ami le molteplici varianti degli spaghetti all’assassina è un fatto risaputo, l’ho esternato più volte, sui social e anche in tv, tanto che alcune mie frasi hanno scatenato anche qualche mal di pancia.
Poco male, da sempre sono abituato a dire quello che penso e di assumermene la responsabilità, però ritengo che dai cuochi baresi ci sia da aspettarsi di più, non si può prendere un argomento e girargli intorno all’infinito, contando sulla moda del momento.
In realtà, in cucina e soprattutto in casa propria, ritengo che ognuno sia libero di fare ciò che vuole, replicando ricette della tradizione, inventandosene di nuove, persino stravolgendo piatti quasi codificati come l’amatriciana, la carbonara, la bolognese o le orecchiette con le cime di rapa e la pasta con le sarde.
Quando si ha un ristorante e si è dei cuochi professionisti, però, il discorso cambia radicalmente, si ha una responsabilità nei confronti dei clienti e della stessa città.
Da sempre sento parlare di Bari come di un luogo dove si mangia bene ma non si riescono a raggiungere punte di eccellenza, mentre città più piccole come Trani, già da un bel po’, e anche Lecce da qualche anno, riescono ad esprimersi ad alti livelli persino nel fine dining.
Tutti parlano di una città troppo legata alle sue tradizioni, al crudo di mare, alle orecchiette e alle fave e cicorie, incapace di scostarsi da questo cliché, e da un po’ di anni il successo degli spaghetti all’assassina non ha fatto altro che peggiorare le cose, perché, come spesso accade, si esagera.
Questo piatto, gustoso per carità, sembra essere diventato il simbolo della città quasi al pari del suo patrono San Nicola.
Anni fa, in una serata, uno chef barese di altissimo livello di cui non faccio il nome per non tirarlo in ballo nelle discussioni che seguiranno, parlò malissimo degli spaghetti all’assassina.
Aveva torto? In parte sì e in parte no.
Gli spaghetti all’assassina sono buoni, è un piatto goloso che fa leva sull’amore che il barese ha per il gusto del bruciacchiato, come avviene già con la tipica focaccia e con il timballo al forno della domenica, tanto che, in una puntata di Masterchef, Joe Bastianich, rivolgendosi al concorrente barese Almo Bibolotti che li aveva preparati, li definì, con il suo slang americano, ricetta “extraterrestiale”.
E poi il piccante stimola il palato, spinge la bevuta e molti lo gradiscono.
È anche vero, però, che la preparazione di questa golosità stressa moltissimo gli ingredienti, l’olio extravergine in primis, che raggiunge temperature elevatissime.
Ma anche gli spaghetti e il pomodoro vengono strapazzati parecchio, rendendo questo piatto piuttosto indigesto.
“Ma quindi tu non li mangi?” potrebbe chiedermi qualcuno.
Io li mangio, con moderazione, cercando di non esagerare e distanziando gli assaggi ad almeno un mese, ma anche più, tra una volta e la successiva.
Del resto non voglio demonizzarli, sono tanti i piatti che non si possono mangiare troppo spesso, basti pensare alle bistecche con quella bella crosticina di Maillard, alla superficie ben gratinata di timballi e parmigiane, alle fritture, soprattutto se fatte male, oppure anche al semplice ragù di brasciole tirato per 5/6 ore.
Infatti non parlo di cibo medicina, parlo di piatti golosi, concederseli ogni tanto ci sta!
Ma come si preparano gli spaghetti all’assassina? Come sempre ci sono diversi modi per arrivare al risultato, soprattutto quando si tratta di questo tipo di ricette.
Prima cosa sfaterei il mito della padella di ferro nella quale sono nati, la cosiddetta “sartàscene”, che ancora si riesce ad acquistare nei mercatini o nei negozietti di casalinghi di quartiere, ma che non è più a norma nei ristoranti.
Si tratta di una padella di ferro leggero, da non confondere con la lionese che è tutt’altro, una volta presente in ogni casa e che non si doveva mai lavare per non farla arrugginire, pulendola semplicemente con della carta di giornale.
Capite bene che certamente non è molto igienica, se volete usarla a casa fatelo pure, ma vi assicuro che l’assassina verrà ottima anche se la farete in una buona padella antiaderente di almeno 30/35 centimetri di diametro.
Per prepararla, quindi, fate una base d’olio extravergine e dell’aglio schiacciato, adagiate gli spaghetti e ricopriteli di salsa di pomodoro diluita con acqua. L’importante è che gli spaghetti siano completamente coperti, in modo da poterli ammorbidire e cuocere risottandoli.
In questa fase potete muoverli finché si piegheranno, poi alzate la fiamma e completate la cottura facendo stringere bene il sugo. Regolate di sale e mettete del peperoncino a piacere, poi continuate la cottura fino a sentire il tipico suono dello “sfrigolìo”.
Quando avranno fatto la crosticina, girateli per farla anche dall’altro lato, dopodiché saranno pronti per essere gustati.
Come dicevo, ci sono diversi modi per arrivare allo stesso risultato e, se preferite, potete aggiungere il sugo di pomodoro man mano che si stringe, in modo da tenere più facilmente sotto controllo i liquidi.
Scegliete voi, l’importante è arrivare alla fine con gli spaghetti cotti al punto giusto e il sugo che si avvolge bene intorno alla pasta, con il giusto grado di bruciacchiato.
State attenti a non esagerare, perché, tecnicamente la pasta secca ha la caratteristica di reidratarsi nei liquidi, ma, se poi si va oltre, quell’umidità viene rilasciata nuovamente e rischiate di ritrovarvela troppo secca e asciutta.
Anche se lo stress termico è notevole, non lesinate sulla qualità degli ingredienti, pasta, salsa e olio è comunque meglio utilizzarli di buona qualità.
Quella che vi ho appena dato è la mia ricetta elaborata negli anni e sull’esperienza, ma voglio darvi anche la ricetta del cuoco Pierino Lonigro del ristorante Al Sorso Preferito di Bari, il vero continuatore della tradizione.
LA RICETTA:
500 gr. di spaghetti, pomodori pelati circa 600 gr., aglio a piacere (consigliati un paio di spicchi), peperoncino tritato, sale q.b., olio extravergine q.b.
In una larga padella di ferro fate un veloce soffritto con l’aglio tritato oppure intero, per poterlo poi eliminare, il peperoncino e abbondante olio extravergine, poi aggiungere i pelati sminuzzati e cominciare la cottura.
Intanto date una veloce sbollentata agli spaghetti per ammorbidirli, poi calarli nel sugo di pomodoro e salare il giusto.
Lonigro, infatti, non parte con gli spaghetti a secco, ma li ammorbidisce prima.
Cuocere a fiamma alta fino al restringimento del sugo che si caramellizzerà e gli spaghetti tenderanno ad attaccarsi al fondo della padella creando una gradevole crosticina.
A questo punto rigirarli sottosopra per ottenere lo stesso risultato sull’altro lato e, dopo poco, saranno pronti.
In città i vari ristoranti utilizzano procedure simili che si differenziano in alcuni passaggi, ma l’importante è che alla fine gli spaghetti risultino contemporaneamente cremosi e non asciutti, piccanti e con la loro tipica croccantezza superficiale.
Infatti nella trasposizione televisiva del romanzo “Spaghetti all’assassina”, andato in onda su RaiUno, il collega del vice questore Lolita Lobosco sostiene che: “È un piatto semplice, ma è la semplicità di un maestro. Gli spaghetti devono attaccarsi alla padella ma al punto giusto, non di più, eh! Si cucinano a secco nel sugo e piano piano si gira finché lo spaghetto non si incurva e si accascia su se stesso. Si fa sinuoso, callosetto, piccolo piccolo fino a pentirsi di essere spaghetto. Attenzione, tutt’altra consistenza rispetto a quelli cucinati in acqua e sale! Poi quel colore rosso tendente al bruno e quelli bruciacchiati che scrocchiano sotto i denti! Però non tutti, perché altrimenti il piatto non è venuto bene”.
Foto Credits: Sandro Romano