Se si vuole intraprendere un viaggio nell’arte pugliese, ed in particolare nella pittura dell’Ottocento e primo Novecento, bisogna sicuramente partire dalla Pinacoteca Metropolitana di Bari Corrado Giaquinto. Il percorso espositivo, attraverso le ventidue sale poste all’ultimo piano del Palazzo della (ex) Provincia, fornisce un’affascinante e completa versione iconologica della storia della regione e della pinacoteca stessa (con le donazioni, i prestiti e gli acquisti che l’hanno via via arricchita).
Dopo la sezione medievale, che comprende sculture e icone datate a partire dall’XI secolo, la serie di dipinti veneti dei secoli XV e XVI, provenienti da chiese e conventi di Terra di Bari. Questi raccontano, per esempio, gli intensi rapporti commerciali che legarono Venezia alla Puglia sin dal Medioevo. Proprio in virtù di questi scambi arrivarono in Puglia numerosi dipinti che rappresentavano per i committenti lo status symbol della loro condizione sociale. I fratelli Antonio e Bartolomeo Vivarini, artisti che tennero bottega a Murano, inviarono via nave su questa porzione di costa adriatica diverse opere (tra cui alcuni polittici): ne troviamo a Polignano, Rutigliano, Lecce e, fino a qualche anno fa, Conversano (in questo caso il quadro ha fatto ritorno a Venezia).
Giovanni Bellini inviò una sola opera per la chiesa di San Domenico a Monopoli (ex Santa Maria la Nova): San Pietro martire, dove il santo appare dritto contro un parapetto in breccia di Verona (sua città natale), la testa trafitta da un falcastro e il petto da un pugnale, strumenti con i quali fu ucciso. Non è un caso la destinazione perché, tra il 1495 e il 1530, Monopoli fu amministrata direttamente dalla Repubblica di Venezia. L’imponente tempera su tavola (194×84), che ora si trova nella sala III della pinacoteca, ripropone l’iconologia classica del padre predicatore e santo martire veronese: il volto barbuto (qui lievemente reclinato verso la nostra destra), la palma del martirio in una mano, un libro con copertina in cuoio (presumibilmente le Sacre Scritture) nell’altra, il manto nero sullo scapolare bianco dell’abito da domenicano. Come sfondo un cielo azzurro su cui transitano nuvole biancastre. Su tutto una luce meridiana calda e naturale che dà risalto alla resa delle ombre.
Quando le importazioni da Venezia si fecero più rare a causa del passaggio della Puglia al viceregno di Napoli e del conseguente spostamento del baricentro economico, anche l’invio delle opere pittoriche si fece più sporadico, fino a interrompersi del tutto alla fine del XVI secolo. Per questo la pinacoteca comprende quadri veneti solo di epoca antecedente, con alcune firme già all’epoca famose oltre confini della Repubblica di Venezia. È il caso di Paolo Veronese, Jacopo Tintoretto e, appunto, Bellini.
A questo punto si apre per la Puglia la grande stagione della pittura napoletana o di scuola napoletana dei secoli XVII-XVIII, ben rappresentata nelle sale dalle grandi tele di Paolo Finoglio (presente in molte chiese pugliesi, in particolare a Conversano) e dai lavori di De Mura, Fischetti, Mondo, De Caro, Giordano.
A seguire, troviamo i dipinti del molfettese Corrado Giaquinto (da cui la pinacoteca prende nome) e una raccolta di opere ottocentesche di grande valore artistico dell’impressionista barlettano De Nittis e dal ritrattista ferrarese Boldini. Giaquinto, formatosi alla scuola napoletana e poi diventato uno dei principali esponenti del Roccocò, lavorò nelle principali corti europee del Settecento. Gli altri due furono punto d’incontro tra l’arte italiana e la cultura parigina, inscrivendosi a pieno titolo, accanto ai più celebri Monet, Manet, Renoir, Degas, nel movimento che traghettò la pittura dal realismo figurativo all’impressione della luce e del colore.
Controluce, olio su tela (72×53) nella saletta Ottocento di fronte al conterraneo Netti, riproduce uno dei soggetti di ispirazione francese alla maniera impressionista. Si tratta di una figura di donna in abito sontuoso trasfigurato dalla luce in varie sfumature di grigio, come piaceva, in particolare, a Manet. Leontine De Nittis (lei, come sempre, la modella) posa di fronte al marito ed ha il volto in ombra perché, appunto, in controluce. Le copre le spalle un mantello nero con bordo in pelliccia.
Quest’opera, datata 1878 ca, proviene dalla collezione Maselli. Più corposo il contributo espositivo della collezione Grieco: cinquanta dipinti italiani tra secondo Ottocento e primo Novecento di Pellizza da Volpedo, Sironi, De Chirico, Carrà, Campigli, Morandi.
Solo in parte esposta (è, in parte, nei depositi) la collezione di arte contemporanea che annovera nomi come Pino Pascali, Emilio Isgrò e Giuseppe Fioroni.
Punto di forza della Pinacoteca Corrado Giaquinto, oltre all’evidente ricchezza e varietà delle opere esposte, un nutrito e curato catalogo online. Punto di debolezza, invece, l’orario delle visite domenicale, ridotto al solo mattino. Attualmente vi si accede dall’ingresso laterale di via Spalato, 19.
Un capitolo a parte (ed una visita guidata) meriterebbe il palazzo che ospita la raccolta. Sorto nel ventennio fascista su progetto dell’architetto Saverio Dioguardi e del tecnico della Provincia Luigi Baffa, è esempio del monumentalismo eclettico tipico degli edifici di Regime. Presenta, però, alcuni elementi architettonici che parlano un linguaggio diverso da quello littorio come le bugne, i mattoni rossi e le finestre a croce guelfa della facciata, che guarda il lungomare del capoluogo.