Appena varcate le antiche mura risalenti al 1400 del Chiostro dei Domenicani, dimora storica poco distante dal centro di Lecce, Alessandro Passagrilli, Direttore di sala del ristorante Gimmi, appena venti coperti in un’intima sala dell’edificio è pronto ad accogliere i suoi ospiti. Alessandro è di origini romane, ma ha seguito la chiamata dell’amico Donato per trasferire la sua vita e la sua famiglia in Puglia.
Lo chef Donato Episcopo e Alessandro si sono conosciuti nel 2001, quando erano rispettivamente Sous chef e Chef de rang presso La Pergola (3* Michelin a Roma); c’è stata talmente tanta sintonia lavorativa che più di 20 anni dopo, quando lo chef è tornato in terra natia insieme a sua moglie e la loro bimba (dopo l’ultima esperienza come Executive chef del ristorante La Corte all’interno del Relais & Chateaux Villa Abbazia, 1* Michelin a Treviso), Alessandro ha accolto con entusiasmo la sua chiamata e si è trasferito con la moglie in Salento.
Il ristorante Gimmi deve il suo nome a Giangiacomo Fedele, colui che iniziò la trasformazione di questa struttura in ciò che è oggi, ovvero un luxury hotel con 18 camere, una location per eventi esclusivi e, da questo 2022, anche ristorante, progetto portato avanti dal figlio Giovanni Fedele dopo la scomparsa di Giangiacomo.
Tavoli nudi e illuminazioni moderne posizionate nei punti giusti delle centenarie volte in pietra avvolgono elegantemente l’ospite, preludio di un viaggio culinario in cui nulla viene lasciato al caso. A partire dal benvenuto con un cestino di pane che altro non è se non una reinterpretazione del tamburello salentino, studiato con il maestro Biagio Paníco, con la tela composta da una sottilissima strega di pane al rosmarino, i sonagli che sono dei biscotti salati con curcuma, pomodoro, olive, ognuno rappresentativo ed evocativo, e infine, al centro, una focaccina barese.
Si continua poi con l’amouse bouche, servita in un disco per taglio della pietra leccese ormai in disuso, che conosce nuova vita grazie alle mani dell’artigiano Antonio De Nicola che ricava tre spazi su livelli diversi per accogliere i piattini.
Il menu è concepito nel massimo rispetto del territorio e delle piccole aziende, ma nella proposta à la carte coesistono senza problemi il Carré di maialino con cipolla di Acquaviva e il Petto d’anatra al mandarino Kumquat.
La filosofia è quella della valorizzazione dell’autentica cucina italiana in chiave gourmet: tre i percorsi a sorpresa, dei quali quello intitolato Matassa è il più impegnativo non solo a livello di numero delle portate (che sono 9).
Matassa viene dalle disquisizioni dello chef con il suo caro amico Giovanni Epifani, artista pugliese. Il concetto è tanto semplice quanto esortativo: viviamo in un momento in cui, da un punto di vista culinario, c’è bisogno di abbandonare le sovrastrutture e sbrogliare i fili che avvolgono pesantemente la sostanza delle cose per un ritorno all’autenticità e ai valori saldi della tradizione. La semplicità, d’altronde, oltre a non essere banale, non è una cosa facile.
Piatto rappresentativo di questo percorso è proprio quello che porta il nome del menu, composto con spaghettone Benedetto Cavalieri, salsa allo zafferano e lievito spento: non il solito piatto di pasta, ma un vero e proprio gomitolo che è anche un tributo ad un piatto della tradizione ormai perduto: la licurda, ovvero una semola cotta.
“È vero che tante cose hanno deviato l’essenza della vera cucina italiana, però questa matassa può essere sbrogliata partendo dai fili esterni. Chi, come quelli della mia generazione, ha vissuto i vari passaggi della cucina (classica, novelle cuisine e gourmet), oggi gioca un ruolo molto importante nella salvaguardia dei veri valori della cucina italiana” afferma lo chef.
Il dessert di punta è un altro tributo al territorio: La taranta, ovvero un bignè ripieno con una mousse di arachidi, una ganache al peperoncino, con in testa un cioccolatino ripieno con l’opunzia, che al morso esplode in bocca come un veleno.
In sala insieme ad Alessandro la squadra che include la sommelier Ilaria De Filippis, per un servizio moderno e non ingessato: le divise sono tutte uguali e nessuno indossa la giacca.
Certo, non è semplice scegliere gli abbinamenti giusti per i piatti dello chef, che sono composti da molti ingredienti spesso tanto diversi tra loro per sapori decisi ed intraprendenti, ma Alessandro abbina al piatto La Matassa uno chardonnay neozelandese di Cloudy Bay, mentre a La Taranta un Porto Tawny 10 anni.
Un ritorno atteso e promettente quello dello Chef Donato Episcopo, che mancava dal Salento da parecchi anni, e che forse oggi trova terreno davvero fertile per un consapevole apprezzamento della sua cucina gourmet, per la quale, probabilmente, qualche anno fa la città non era ancora pronta.