In questi ultimi giorni sembra essersi risvegliata l’atavica polemica che vede le donne discriminate a livello professionale per l’incompatibilità, a detta di alcuni, di far conciliare in una sola persona il doppio ruolo di mamma e di lavoratrice. Questa è una tematica con cui la maggior parte di loro lotta quotidianamente, sembrerebbe un paradosso perché ci insegnano che la maternità è uno stato di grazia, ma nell’inconscio di ogni donna nello stesso momento in cui pensa di avere un figlio subentrano pensieri invadenti di cosa ne sarà di lei a livello lavorativo. Mi basteranno i mesi concessi dalla maternità? Questo si chiedono le mamme da lavoro dipendente. Quando riuscirò a tornare al lavoro? Questa l’angoscia delle mamme con partita iva.
In questo clima così già apparentemente complesso sentire pronunciare frasi del tipo: “Io le donne le ho messe ma sono anta, questo va detto, comunque ancora ragazze ma cresciute. Se dovevano fare figli o sposarsi lo avevano già fatto e quindi io le prendo che hanno fatto tutti i giri di boa, sono al mio fianco e lavorano h24, questo è importante”. A pronunciare queste parole non è Checco Zalone nella scena del suo film “Sole a Catinelle” bensì Elisabetta Franchi, la stilista emiliana da 129 milioni di fatturato e da milioni di follower su Instagram. Parla di lei al maschile e racconta sui social della sua vita dorata, ricordando il passato difficile e la vita di stenti, smentita dal suo stesso fratello, per enfatizzare un’ascesa al potere degna di un libro, che non ha mancato di scrivere.
Essere madre è come sentirsi l’attrice del film “La lettera scarlatta”, dove la protagonista interpretata da Demi Moore è costretta a portare sul petto la “A” rossa di adultera, subendo il sorriso dei compaesani, seguita da un ragazzo, che la pedina tutto il giorno suonando il tamburo. Questo parallelismo mentale per nulla forzato sottolinea quanto un figlio, al giorno d’oggi, viene considerato come un marchio piuttosto che un valore aggiunto. Se la società da un lato ti apprezza dall’altro ti compatisce e il mondo del lavoro spesso si dimostra di essere come “Erode” animato da una plateale crudeltà nei confronti delle donne. Le parole della Franchi questa volta hanno smosso i sentimenti di tutte quelle che quotidianamente affrontano questa lotta, dimostrando che quei pensieri non possono ancora appartenere al nostro modello di società, di vita e di lavoro. La disapprovazione corre sui social, diventando un movimento corale nato per volontà di cinque giornaliste: Sara Giudice, Giulia Cerino, Francesca Nava, Valentina Petrini e Micaela Farrocco, che con gli hashtag #senzagiridiboa e #notinmyname non restano in silenzio davanti alle storture di questo Paese.
Bisogna ricordare che i figli sono delle madri ma allo stesso modo appartengono ai padri, che la stessa Franchi non sembra citare durante il suo discorso, come se l’uomo fosse estraneo a una partita che si vince solo facendo gioco di squadra. Abbiamo chiesto a Marianna Cardone imprenditrice del vino, donna delle istituzioni, mamma, e delegata regionale dell’associazione Donne del Vino Puglia, la sua opinione in merito alle parole di Elisabetta Franchi e del rapporto donna e lavoro.
“In queste situazioni non esiste la verità assoluta e queste polemiche spaccano in due, dividendo le persone come se fossero Guelfi e Ghibellini. La Franchi ha sollevato un polverone e dopo aver pronunciato quelle parole l’hanno letteralmente massacrata. A me piace definirmi imprenditrice perché amo declinare il nostro ruolo al femminile e la ministra per le Pari Opportunità, Elena Bonetti non ha fatto bene a replicare solo dopo 24 ore. Sono una donna che ha superato i fantomatici “anta” e come imprenditrice prendo le distanze dalle parole di Elisabetta Franchi che ci è andata giù pesante. Lei desidera una classe manageriale al femminile che non abbia distrazioni oltre al lavoro. Io una donna così non la voglio nella mia azienda perché potrebbe essere solo una potenziale serial killer, abbiamo bisogno di hobby e vita sociale. Le donne spesso si fanno carico dei figli ma anche dei genitori più in là con gli anni, anche gli uomini affrontano le proprie problematiche ma perché di loro non si parla mai? La Franchi ha con le sue parole attuato una vera e propria discriminazione genetica.
Elisabetta Franchi è da considerarsi solo la punta dell’iceberg perché se il 42% delle donne italiane non lavora il problema è dello Stato italiano che non le supporta attraverso le politiche sociali e gli asili pubblici uno Stato che si comporta così non è civile. La maternità è una parentesi nella vita lavorativa di una donna e l’80% della sua assenza è coperta dall’Inps quindi la problematica risiede più nelle piccole aziende che venendo meno una figura hanno necessità di formarne un’altra. Gridano alla famiglia e poi non fanno nulla per permettere di realizzarla. Nella mia realtà aziendale io una persona l’assumo guardando solo alla sua buona volontà e alla conoscenza delle lingue straniere no se è un uomo o una donna.
Amo le donne perché hanno una marcia in più, l’uomo per genetica alcuni ruoli non è portato a farli come nel mondo dell’enoturismo, nell’accoglienza o nel marketing e viceversa le donne a livello fisico in vigna sono meno presenti. Un problema, che permette di aprire un altro capito, è legato alla mancanza di voglia di lavorare, ma questa diciamo che è un’altra storia. Sono orgogliosa di essere la delegata per la mia regione dell’associazione “Le Donne del Vino”, che è nata con l’obiettivo di dimostrare che la filiera vitivinicola non è appannaggio solo degli uomini. Proprio in questi giorni stiamo facendo dei colloqui e prediligiamo le donne che sono più versatili.
Quello che ho fatto nella mia vita professionale l’ho potuto realizzare grazie al sostegno di mio marito e anche della mia mamma. Poi per tutelare il nostro rapporto di coppia quando i figli erano più piccolini avevo anche una giovane babysitter che una volta al mese rimaneva con i nostri bimbi per goderci una serata solo per noi. Siamo un Paese bigotto che vuole la parità e non ha gli strumenti per metterla in campo.