“Una luce di cose vere intenerita dal suo sentimento”: è proprio questa l’atmosfera che domina i dipinti di Francesco Netti (1832-1894), il pittore di Santeramo in Colle (Ba ndr) che contribuì in maniera significativa al rinnovamento della cosiddetta Scuola di Napoli.
La scelta mai volgare, talvolta una drammaticità ed una forza, che la mite e serena persona non avrebbe mai fatto sospettare; un ideale, infine, sempre alto delle cose comuni ed il gusto e la misura di un artista signorilmente educato. A ricostruirne la vita, i viaggi, i tormenti, l’evoluzione della tecnica è il suo principale biografo, Giuseppe Musci, santermano anche lui e coevo del pittore. Lo fa, in primo luogo, attraverso l’epistolario, in parte pubblicato nella seconda decade del Novecento sulla rivista mensile “Uomini e cose”.
Le lettere del pittore sono, nelle loro dichiarazioni più schiette e significative, un documento della difficile condizione di un uomo, discendente da una famiglia meridionale pugliese dell’alta borghesia fondiaria, che mostrava scarsa comprensione per il figlio artista. A quarant’anni Netti si trova nell’amara situazione di dover giustificare al padre la sua scelta di vita così poco lucrativa. La sua condizione artistica sembra essere, comunque, emblematica per tutta una generazione di pittori del periodo post-unitario nell’Italia meridionale che, passata l’euforia della prima ora e ridimensionati i piccoli rinnovamenti, si ritrovano di nuovo senza strutture pubbliche che li sostengano e senza un serio mercato dell’arte.
Ragazza assopita (olio su tela, Polo Museale Castello Aragonese, Conversano, Bari) è uno dei dipinti a lungo e ingiustamente trascurati dalla critica. L’intensità della rappresentazione ne fa, in realtà, uno dei più bei quadri di Netti. Inusuale per lui la gamma dei colori, dominata dai toni del bianco e del blu. Il blu della tenda è ripreso nel nastro del lenzuolo smerlettato. Il mobilio, con la testata del letto in fibra naturale, ha un richiamo etnico. I capelli scompigliati dal sonno, la testa reclinata di lato con la bocca semiaperta e lo sfondo, schermato dalla tenda blu notte con ornamenti orientali, fanno collocare il quadro nell’ambito della genesi della Siesta. La grande somiglianza tra le due donne protagoniste della scena fa, inoltre, presupporre che si tratti della stessa modella.
La siesta (1884, olio su tela, Pinacoteca Prov. Di Bari) è forse il quadro più famoso di Netti e sicuramente uno di quelli a cui teneva in maniera particolare, anche per il grande lavoro che gli costò la meticolosa esecuzione dei dettagli. La siesta non rappresenta tanto un ambiente esotico quanto un angolo dello studio del pittore, adibito, come voleva il gusto dell’epoca, a stanza orientale. Anche il rigoglioso motivo delle piante fa pensare all’atelier di Netti all’Arco Mirelli di Napoli. Sappiamo da cronache del tempo (“Cronaca Rosa” ndr) che il suo studio “era una specie di vasta serra guarnita di piante rampicanti, di muse e di edere”. Troviamo ancora la giovane donna con la testa reclinata di lato, le braccia questa volta abbandonate lungo il corpo vinto dal sonno, forse pomeridiano, e dal caldo. Appena il tempo di togliersi i sandali, la ragazza si è addormentata vestita con un abito leggero. Si intravede, nella pennellata, un cenno di impressionismo.
Nel luglio del 1884 Netti, con altri amici pittori, si era imbarcato a Bari sullo yacht “Rondine” del Principe di Sirignano per una crociera nell’Oriente mediterraneo che durò alcuni mesi. Il soggiorno in Turchia, in particolare, fu di grande importanza per la sua produzione artistica per il contatto diretto con quel mondo orientale che costituiva allora un punto fisso per la pittura e per l’arte in generale. Ne seguirono un nutrito gruppo di schizzi, acquerelli e oli. Riportò pure tappeti, stoffe, abiti, mobiletti, arnesi e vari oggetti orientali che costituirono per alcuni anni gli elementi principali delle sue composizioni.
La Siesta è il punto di arrivo di un lungo viaggio umano e artistico che portò Francesco Netti dalla sua Puglia a Napoli, Torino, Milano, Firenze, Venezia, Roma e Parigi. La sua tecnica, maturando, virò dal realismo iniziale delle scene agresti della campagna santermana all’impressionismo di prima maniera di In Corte d’Assise (Olio su tela, Pinacoteca Prov. Di Bari). L’affinità di quest’ultima tela con alcune opere di Giuseppe De Nittis, il pugliese impressionista per eccellenza, si spiega con la comune attenzione rivolta dai due pittori alle conquiste della fotografia. Eseguita per l’Esposizione Nazionale di Roma del 1883, l’opera si ispira ad un fatto di cronaca: il processo Fadda (il capitano Fadda fu assassinato dalla moglie con la complicità dell’amante). Il taglio è decisamente fotografico, come la tecnica di definire le figure in primo piano e sfuocare quelle sullo sfondo. La novità tematica e compositiva di questa grande scena di vita contemporanea fu notata già dai critici dell’epoca.
Netti non fu solo maestro del colore ma un intellettuale del Sud a tuttotondo: critico d’arte squisitamente moderno, giornalista e animatore di artisti ed iniziative culturali nella capitale partenopea, in cui si era trasferito all’età di undici anni per completare i suoi studi. Il rapporto con il paese d’origine rimase complesso fino alla fine della sua vita: in molte lettere lamenta la lontananza da casa e dalla sua famiglia, ma in altre dice di essere “un forestiero nel paese dove sono nato”. Spesso parla di “una generale apatia degli abitanti”, che hanno un’unica e sola passione: “la smania di far quattrini”. È la storia, universale, dell’intellettuale costretto ad emigrare, al pari dei braccianti e dei contadini, per cercare lavoro, per sfuggire all’isolamento ed aprirsi spazi di confronto, scambio culturale e conoscenza.