Il suo sfogo su Facebook ha ottenuto centinaia di like e commenti, segno di quanto sia apprezzato e di quanto in tanti gli vogliano bene. Ma, nonostante tutto, Antonio Bufi, uno dei cuochi pugliesi più bravi, preparati, innovativi, estrosi e talentuosi lascia la Puglia.
Ogni volta che ciò accade – spesso purtroppo – non riesco a non farmi mille domande. È giusto che noi del mondo gastronomico pugliese ci interroghiamo sul perché i nostri talenti preferiscano costruire la loro carriera fuori della Puglia. È il caso di cuochi del calibro di Fabio Pisani, Felix Lo Basso, Antonio Guida, Sebastiano Lombardi, Fabio Abbattista, Martino Ruggeri, che hanno lasciato la Puglia trovando fortuna e successi altrove.
Ora, purtroppo, tocca ad Antonio pur rimanendo nella vicina città di Matera e continuando a fare qualificata consulenza al ristorante “La Locanda di Federico” in quel di Bari Vecchia.
Lo conosco bene Antonio. Alcuni anni fa ebbi a definirlo così:
“Bufi è un talento ribelle. Lui è esattamente questo: talento perché ha tecnica, estro, inventiva e una bella dose di follia, che rende unica e riconoscibile la sua cucina; ribelle perché non si piega alle regole, cerca di stravolgerle o di inventarne di nuove. Un po’ genio e sregolatezza, quindi, ma, proprio per questo, un suo piatto è individuabile in mezzo ad altri mille, ogni ricetta è come se portasse la sua firma”.
Dopo tanti anni e dopo averlo “assaggiato” più e più volte trovo che questa immagine sia davvero azzeccata. Tra i tanti suoi piatti alcuni fanno parte dei miei assaggi migliori in assoluto e ne ho un ricordo chiaro e indelebile.
La Punta di petto di vitello, “salsa mac” al pomodoro Regina di Torre Canne, cipolla rossa di Tropea al cartoccio, kefir, polvere di bottarga, arancia e capperi mi conquistò per il rimbalzo di sapori e per la consistenza cremosa e la riconoscibilità al palato delle sfoglie alternate tra il grasso e il magro del pezzo di carne.
I Tortelli ripieni di baccalà mantecato in brodo di gallina e scorza di limone fermentata sono il perfetto risultato di quattro tecniche perfettamente armonizzate: la mantecatura fatta a mano, la fermentazione del limone, la sfoglia perfetta tirata a matterello, il brodo da manuale della cucina, limpido, delicato, profumato.
Lo Spaghettoro Verrigni all’aglio, olio, prezzemolo e anemoni di mare è un’intuizione che evidenzia la perfetta sintonia con Lucia Della Guardia, coideatrice e rifinitrice del piatto direttamente in sala, con la sfumatura finale data dall’azzeccato inserimento del sakè “Junmai Daiginjo”.
Radici- le tue radici sono su di me è quello che, a mio parere, è il capolavoro del cuoco Bufi. Un viaggio nel sopra e nel sottosuolo, tra pastinaca, scorzonera, radice di prezzemolo, radice di cicoriella, foglia di shiso, polvere di olive nolche, cipolla rossa, mandorla marinata all’assenzio, foglia e fiore di nasturzio, salicornia. Il tutto valorizzato da cotture differenti e da un’emulsione al sedano rapa e un’altra al finocchio e arance. Un piatto che accarezza la terra, come lo stesso Bufi ama dire.
Antonio è semplice, complesso, estroso e rigoroso al tempo stesso, un po’ fuoriclasse un po’ “fuori di testa”.
La mia amicizia con lui va oltre la stima professionale e quindi non ho potuto fare a meno di chiamarlo al telefono per farmi spiegare le ragioni di questo trasferimento e dell’amarezza che viene fuori prepotentemente dal post che ha fatto per comunicarcela.
Amico mio, che ti succede?
Nulla di che, caro Sandro, semplicemente mi sono rotto. Basta, voglio tornare a fare quello che mi piace, cioè cucinare e qui, in Puglia, sono sfumate troppe situazioni e alcuni progetti non sono andati in porto. Non è colpa di nessuno, ma ora devo tornare in pista e a Matera mi si è creata un’opportunità che promette belle cose per il futuro. Lì potrò tornare a fare appieno la mia cucina, quella che io e la mia compagna Lucia abbiamo portato nelle nostre precedenti esperienze lavorative. Intanto continuerò anche a svolgere il mio lavoro di consulenza presso La Locanda di Federico a Bari Vecchia.
Il tuo saluto su Facebook appare intriso di tanti sentimenti che vanno dalla gioia del ricordo di ciò che sei riuscito a fare nei tuoi ristoranti all’amarezza di non essere stato compreso fino in fondo, se non da alcuni.
In realtà io e Lucia sapevamo bene che la nostra idea di cucina avrebbe faticato ad entrare nel cuore dei baresi, ma ci eravamo dati tempo e pian piano le soddisfazioni stavano arrivando. Nonostante il grande lavoro che stavamo facendo in Puglia, per un certo tipo di comunicatori del food sembravamo non esistere. Non ci importava, la nostra strada era quella di farci conoscere per quello che siamo, attraverso la nostra cucina che parla di cultura del cibo, del vino e del territorio in cui viviamo, attraverso tecniche come le fermentazioni o le germinazioni. Parlavamo di probiotico, di prebiotico, di salute, servivamo il kombucha in tutte le sue forme. Facevamo cose che in Puglia non aveva ancora fatto nessuno e, forse, per quello abbiamo faticato non poco. Non saprei, forse eravamo troppo avanti, ma eravamo convinti ed entusiasti di ciò che stavamo facendo. Poi siamo stati costretti improvvisamente a smettere, vabbè, sapete bene com’è andata. A Matera ho trovato degli imprenditori che credono in noi e questa cosa mi ha dato la forza e l’entusiasmo per ripartire.
Mi stai confermando, quindi, che qui a Bari non sei stato abbastanza apprezzato?
Senti Sandro, io non voglio dire nulla, voglio solo fare il cuoco, quello vero. Non la rockstar ma quello che sta tra le pentole e i fornelli con la sua squadra con cui condividere saperi e onori, quello a cui la stella viene data ogni giorno dai suoi clienti, che sta in cucina e non in sala, ben sapendo di avere una persona come la mia compagna Lucia che non fa da cameriera portapiatti ma, invece, veicola il grande lavoro, spiegando ciò che c’è dietro e dentro un piatto, facendolo comprendere a chi lo gusterà.
Ok Antonio, ma davvero non ti rivedremo alla guida di una cucina in Puglia? Sarà un addio o un arrivederci?
Senti Sandro, per ora vi guardo stando appena fuori, a pochi chilometri di distanza. Ho un progetto in cui credere e, buttandomi alle spalle l’amarezza, ne sono felice.