La chef di Bloom Food and Spirits racconta il percorso che l’ha portata dal pianoforte alla guida della novità enogastronomica di Bari
Angela D’Errico non ha lavorato in brigate stellate. Non è uscita nemmeno dalla provincia di Bari. Ma la sua formazione potrebbe fare scuola a molti aspiranti chef, sempre che sia chiaro che cucinare non significa diventare all’instante una star. Sempre che sia chiaro che cucinare significa prima di tutto far da mangiare e far star bene delle persone. Oggi Angela è alla guida di Bloom Food and Spirits, ristorante creato grazie al sodalizio con Francesco Tedeschi, imprenditore tarantino trasferitosi a Bari e la moglie Ania Popova. Insieme a lui, al suo sous chef Giovanni Floro e al team, la 31enne barese è riuscita a impiattare anche il suo amore per la musica.
Sì, perché Angela, prima di arrivare ai fornelli, ha passato la sua vita precedente seduta a studiare pianoforte per 15 ore al giorno, seguendo una rigida disciplina da caserma, anzi no, da cucina militaresca, come quelle teorizzate da Auguste Escoffier. Contemporaneamente studiava Economia e Commercio all’Università di Bari. Ma, dopo aver vissuto sotto «la classica campana di vetro», con l’unico obiettivo di un titolo da raggiungere, una tragedia ha cambiato la sua vita. A una settimana dall’esame finale in conservatorio, suo padre muore. Lei ha solo 24 anni. La sua vita si ferma: si fermano gli studi, la carriera musicale, suo fratello rimanda il matrimonio che doveva tenersi da lì a due settimane. E poi arriva la richiesta: «Angela, devi andare a lavorare». Così Angela si alza dal pianoforte, mette via i libri di economia, si mette in macchina e va alla ricerca di un lavoro in un qualsiasi ristorante tra Palese e Santo Spirito. Infatti, sotto la cenere del tiepido entusiasmo per gli studi universitari, covava la brace di un amore inconfessabile: quello per la cucina.
La verità è che cucinare le era sempre piaciuto e cercare lavoro in quel settore le è venuto naturale. Ma nell’emergenza Angela ha iniziato a chiedere lavori di sala. «Era luglio, la stagione era già iniziata – ci racconta – ma io, queste cose, all’epoca non le conoscevo. Ho continuato a guidare finché Luigi del ristorante Ai due sapori, tra Giovinazzo e Santo Spirito, mi ha detto sì. Mi ha chiesto: “Che sai fare?”. E io, candidamente: “Assolutamente niente!”. Lui mi ha detto di tornare il giorno dopo, aggiungendo “Ti formo io”». Così, dopo aver servito in sala, Angela inizia a fermarsi oltre l’orario di lavoro per imparare come si sta in cucina. Una settimana dopo è agli antipasti: «nella tragedia avevo trovato la mia strada».
Nella sua formazione Angela ha sfruttato i suoi punti di forza. Nella sua vita non aveva fatto altro che studiare: apprendere è ciò che sapeva fare meglio. Dopo il lavoro estivo, a Poggiofranco incontra Maurizio Mastrorilli e Giuseppe Ciriello. Sono i proprietari del Gola, che all’epoca dell’incontro con Angela stava per aprire. «Giravo nei pressi del locale e ho chiesto informazioni a una signora con un cane: lei mi ha presentato ai proprietari, che stavano svolgendo le selezioni in un appartamento, sopra il locale. Mi sono candidata spudoratamente come chef e, un po’ come per una forma di scaramanzia, quando mi hanno chiesto cosa sapessi fare, ho replicato di nuovo: “Assolutamente niente”. Mi hanno tenuta con loro per assistere a tutte le selezioni di chef con valanghe di esperienze sulle spalle e poi mi hanno assunta come banconista. Lì ho conosciuto il mio mentore, Giuseppe Ciriello, il food and beverage manager del locale. Non mi ha insegnato tecniche culinarie, ma mi ha stimolato a capire quale fosse l’idea che deve stare dietro una cucina, guardando anche oltre ciò che Bari proponeva. Ero una pagina bianca e su di me loro hanno scritto tanto».
Tre anni fa Angela approda da Nina Trulli, masseria di Monopoli. Anche qui investono su di lei, assumendola prima come sous chef e poi come chef. Qui impara l’importanza della materia prima nata e coltivata in campo aperto. Comprende anche quanto conta il rapporto con il cliente. In più, «i proprietari della masseria hanno visto in me la creatività e la musicalità che io porto con me dal mio essere musicista, fin nel piatto». Dopo l’esperienza in masseria, Angela è tornata a Bari con una certezza in tasca: non voleva più sottostare a nessuno.
L’approdo al Bloom Food and Spirits di via De Rossi, a Bari, avviene quando il locale non esiste ancora. Tutto merito di Michele Pacino, in arte “BaffettoFood”, che mette in contatto la giovane chef con Francesco. Il locale apre a fine maggio 2021: «eravamo stanchi di non poter partire». I mesi estivi sono stati difficili. Bloom Food and Spirits è una realtà nuova, un bistrot che non ha paura di fare fine dining, mantenendo la barra dritta su una grande autenticità, data anche dal fatto che tutto – dal pane alla trasformazione degli ingredienti di base – viene fatto nel ristorante. E poi, in estate, il barese cerca lo sbocco sul mare, mentre il Bloom è un po’ decentrato. Ma quello che appare un difetto è diventato subito un punto di forza per chi rifugge la confusione. In più, con i suoi 40 posti a sedere rispettosi del distanziamento, esaudisce in pieno la ricerca di chi desidera mangiare in un “ristorante Covid secure”.
«Nei miei piatti non rinuncio mai all’equilibrio – spiega Angela – sia per le consistenze sia per il gusto. In più, ciò che desidero è che traspaia sincerità». La cucina di Bloom Food and Spirits abbina il mangiar bene e sano con il sentirsi a casa. In tavola è possibile vivere alcuni piaceri da stellato, come l’entrée di benvenuto, la degustazione pane e olio e la piccola pasticceria finale. C’è grande attenzione alle intolleranze, ma con il limite etico e legale di non accettare persone celiache.
Da brava pugliese, fa grande attenzione allo spreco e alla stagionalità. Adora impastare e impiattare: «puoi cucinare benissimo, ma se non dedichi quei due minuti in più all’impiattamento, tutto il lavoro fatto prima viene bruciato in un secondo. Se poi questo valore non viene trasferito dalla sala al tavolo nello stesso modo in cui lo chef lo ha pensato, la magia svanisce». Angela non resta in cucina. Conscia della crucialità del lavoro di sala, esce e prende le comande, parla con i clienti, cerca di capire cosa stanno cercando e torna per portare in tavola e spiegare i piatti. Odia le parole difficili e non mette troppi ingredienti nei suoi piatti, in modo da non oscurare l’eccellenza della materia prima.
Il suo signature dish è legato a un racconto gastronomico della tradizione pugliese: Fave e cicorie. Nel primo menu lo ha servito in un tortello con una tartare di gambero rosso e la sua bisque. Troppo sputtanato. Così si mette a fare ciò che sa fare meglio dopo cucinare – cioè studiare – e scopre che nella storia del piatto le Fave e cicorie si associano a un altro sapore: quello della cipolla sfritta. Allora al tortello fatto in casa associa una cipolla fondente e una polvere di cipolla bruciata, creando un piatto che oggi è il distillato della tradizione pugliese.
Nel prossimo menu il lavoro sullo scarto si spinge molto in avanti. Ci saranno la Tagliatella tutto fungo, in cui c’è un brodo fatto dagli scarti del fungo che dà un sentore quasi di liquirizia; una rivisitazione del Dashi e un Cosciotto di agnello ripieno con una demi-glace di funghi con una giardiniera fatta da noi. Alcuni immancabili rimarranno, come il Carpaccio di cavallino, solo che sarà servito come una spuma di mandorle e un mosto di fichi. Sul suo piatto preferito – il Riso patate e cozze di mamma – sta ancora studiando per non rischiare la banalità.
Già, sua mamma. Dopo averla spinta verso il lavoro, per un periodo la famiglia di Angela ha sorvolato su cosa facesse realmente. «Forse non hanno mai percepito la mia crescita in cucina perché non raccontavo niente, a parte le cose positive. Non volevo darle altre preoccupazioni. Ma lavorando nei ristoranti, ho imparato a non farmi mettere i piedi in testa, a rispondere a tono a chi magari è cresciuto come lavoratore, ma non come persona. Le ho detto: “Verrai a mangiare solo quando mi sentirò davvero pronta, quando il ristorante farà quello che sento che devo fare”. Lei è stata la prima a fare la prova del menu del Bloom ed è lì che mi ha riconosciuto. Oggi sa che sua figlia è una chef e ne è orgogliosa».