Originario di Molfetta, Fabio Abbattista è uno dei cuochi emergenti del momento nel suo ristorante Abba, a Milano, che ha appena ricevuto una Stella Michelin. Rappresenta il punto di arrivo di una gavetta esemplare, da cui aveva già spiccato il volo per dirigere uno dei luoghi più iconici dell’alta cucina italiana: l’Albereta di Gualtiero Marchesi. “L’alberghiero l’ho frequentato a Bari, poi dopo l’Hilton, dove a stretto giro sarebbe arrivato Heinz Beck, ho subito iniziato a viaggiare”, racconta. “In Inghilterra ho fatto l’Halkin, stellato dove era stato consulente Marchesi con Stefano Cavallini chef, Le Gavroche con Michel Roux e The Square con Philip Howard, entrambi bistellati. Acquisite le basi di quella cucina classica prettamente francese, sono rientrato in Italia all’Altro Mastai di Fabio Baldassarre e dopo un passaggio ad Atene, con lui ho aperto l’Unico. Chef sono diventato all’Albereta, quando sono stato scelto dalla famiglia Moretti dopo tanti colloqui. Ma il sogno nel cassetto di ogni cuoco è aprire la propria insegna e finalmente ci sono riuscito nell’agosto 2024, dentro un ex pennellificio in una zona in via di riqualificazione”.
Che ricordi hai della tua Puglia?
Ho avuto la fortuna di crescere in una regione dove regna la convivialità, si ha il piacere di stare insieme a pranzo e a cena, celebrare le feste e osservare i riti della tradizione. Questo ha contribuito a far crescere in modo esponenziale la mia passione fin da bambino, perché si stava sempre in cucina. Molfetta poi si trova sul mare, quindi abbiamo tanti piatti a base di pesce, ma anche un’ottima cultura agricola, un olio spettacolare e legumi fantastici. Ricordo in particolare i piatti di mia nonna Maria come il ciambotto molfettese, zuppa preparata con i pesci di scoglio, o il ragù di carne della domenica con le braciole, involtini anche di cavallo cotti in umido, con cui condire le orecchiette. E poi i dolci natalizi, preparati all’inizio di dicembre e divisi fra le famiglie, rigorosamente a base di mandorle e di mosto cotto d’uva.
Cos’è passato nella tua cucina?
È rimasto quel gusto intenso e concentrato, il sapore mediterraneo. Perché cerco sempre la pulizia nei piatti. A livello di ingredienti, mi vengono in mente la farinella, farina di ceci e orzo tostati macinata a pietra, o il grano arso che uso per le paste farcite; ovviamente anche l’olio, che prendo direttamente dall’oleificio Ciccolella a Molfetta. Il repertorio c’è di meno, perché preferisco creare ex novo qualcosa, che comunque solleciti una memoria. Per esempio ora ho in carta una triglia di scoglio, pesce che da noi si usa tanto, fritta e abbinata a una maionese composta al 100% di mandorle di Toritto. Oppure c’è una melanzana laccata con il mosto cotto di fichi pugliese abbinata a un pesto d’erbe, che ricalca un po’ le classiche melanzane grigliate condite con aceto, aglio, prezzemolo e menta. L’idea è quella di ricordare quel sapore, trasportandolo in una chiave diversa.
Ti è successo di fare scoprire un po’ di Puglia nelle brigate in cui passavi?
A Londra ogni giorno una patita diversa aveva il compito di cucinare per lo staff. Ricordo che una volta preparai questa pasta con i frutti di mare, che impressionò i cuochi inglesi e francesi, convinti che per dare sapore fosse necessario aggiungere della panna. Spiegai loro che in Italia non si usa. Oppure il risotto cotto al dente, che parimenti li spiazzò.
Scendi spesso in Puglia?
Giù ho la mia famiglia, i miei genitori, mia sorella e i miei nipoti. Di solito scendo quando il ristorante chiude, a gennaio e in agosto. Allora mi piace andare a mangiare nei vari posti, fare il mercato del pesce e della frutta per vedere i prodotti, in modo da mantenere ben salde le radici. Quest’estate per dire cercavo il miglior panzerotto; oppure mi piace tantissimo il calzone molfettese, che cerco in giro se non me lo fa mia madre. Si tratta di una focaccia farcita di pesce, generalmente nasello, verdure e sponzali, meglio se cotta a legna. Buonissima.
Fare ristorazione in Puglia è così difficile?
Quando frequentavo l’alberghiero, ho lavorato d’estate vicino a Molfetta. Un’esperienza che ha sicuramente alimentato la mia passione e fatto in modo che continuassi. Andare all’estero fa parte della formazione di ogni cuoco, ma negli ultimi anni noto un ritorno di chef pugliesi, che iniziano ad aprire qualcosa in proprio, come Antonio Acquaviva, che era da Core by Clare Smyth, e altri colleghi, che guidano piccole realtà dove fanno qualità. La Puglia si sta sviluppando e si mangia bene ovunque. Ci sono tanti clienti stranieri in estate, pochi nelle stagioni fredde. Quindi il lavoro è molto stagionale, ma pian piano sta cambiando. Opero in Lombardia da tanti anni e al momento sono concentrato su Abba, però mai dire mai. Se un domani ci fosse la possibilità di aprire una seconda insegna, perché no?
Per te la Puglia è..
È cibo confortevole, tradizionale ma dal gusto intenso, con un’abbondanza di olio e sapori. È la mia terra.
TRIGLIA DI SCOGLIO E PEPE TIMUT
PER IL CILINDRO DI TRIGLIA
1 Triglia di scoglio da 200 – 300 g
transglutaminasi q.b. (enzima naturale che lega le proteine)
Sfilettare la triglia, spinarla e spolverarla con la transglutaminasi. Arrotolarla con la pellicola, formare dei cilindri e fare rapprendere in frigorifero.
PER LA PASTELLA SIFONATA
230 g di farina 00
100 g di amido di mais
40 g di albume
345 g di acqua
4 g di sale
Riunire tutti gli ingredienti e passarli al mixer. Versare in un sifone e conservare in frigorifero.
PER LA MAIONESE ALLE MANDORLE
100 g di pasta di mandorle al 100%
mandorla armellina q .b.
50 g di acqua
200 g di olio di semi di vinacciolo
succo di lime
20 g di albume d’uovo
sale
Iniziare a legare la crema di mandorle e l’acqua.
Emulsionare con l’olio di semi e condire con succo di lime, dashi e sale
PER LA FINITURA:
pepe di Timut
olio di semi
farina di riso
sale di Maldon
Passare il cilindro di triglia nella farina di riso e successivamente nella pastella sifonata, eliminando l’eccedente. Friggere in olio alla temperatura di 180 °C. Salare, tagliare la triglia in due parti eliminando le due estremità. Condire con pepe di Timut macinato, sale di Maldon e adagiare sul piatto con la maionese di mandorle.



