Un lungo percorso esistenziale e professionale, e un rapporto di assoluta identità tra un intero nucleo familiare e la sua stessa impresa. Stiamo parlando dello storico Lido Bianco di Monopoli, che prende le mosse nel lontano 1947, e che a distanza di diversi decenni continua ad avere alla guida i componenti della famiglia Bini. Tutto ha infatti avuto inizio nel secondo dopo guerra del secolo scorso, quando Grazio Bini decise di aprire nei locali di proprietà una semplice trattoria marinara, forse inconsapevole, al momento, che la sua iniziativa si sarebbe rapidamente trasformata in un ristorante di culto, e in un punto di riferimento a livello regionale. Tanto da rendere necessaria la gestione congiunta con altri collabolatori, e successivamente l’investitura ufficiale nel settore prima del figlio Giovanni, e quindi anche del nipote omonimo, per tutti Graziano.
Oggi sono entrambi impegnati nell’attività, sebbene con ruoli differenti. Se il bancone del pesce è appannaggio esclusivo di Giovanni, che seleziona le materie prime con occhio clinico e consumata esperienza, Graziano si divide tra la cucina e l’accoglienza degli ospiti, e sa proporre con competenza opportuni abbinamenti enologici. Ma non finisce qui, perché gli interventi della sorella Lucrezia e della mamma Clorinda Colucci sono preziosi per la soluzione di alcuni problemi di contorno ma non marginali, come l’esecuzione del recente restauro che ha regalato agli ambienti il fascinoso aspetto attuale. Ed è cosi che tra l’azzurro delle ceramiche di Grottaglie, e delle confortevoli poltroncine, il mare prima invita al relax attraverso le vetrate a parete, e poi sembra voler colorare in proprio l’arredamento; fino a raggiungere un angolo scavato nella roccia che fa pensare al ponte di una barca. Senza tuttavia dimenticare la creazione di suggestivi spazi (esterni e interni) dove è possibile sorseggiare un calice di bollicine come aperitivo, o cenare direttamente sugli scogli nelle sere d’estate.

Il mare comunque si materializza nei piatti, che riescono a riprodurne tutta la freschezza e tutti i profumi, come può ampiamente dimostrare la ricca scelta degli imperdibili crudi. Un attimo prima di procedere con i cavalli di battaglia della casa, che vanno dalla deliziosa chicca delle cozze “alla Pipina”, e cioè marinate in pinzimonio con cipolla e pepe e accompagnate dal provolone; fino ai tubetti rigati conditi con il sugo di scorfano, e agli spaghetti spezzati in brodo di pesce bianco. Si tratta in definitiva di un trionfo delle stagionali ricette della tradizione autoctona, che trovano valido riscontro nel gusto sincero dello sgombro scottato con cornaletti fritti, fave in due consistenze e cipolla in agrodolce. La brigata ai fornelli non perde però l’occasione per misurarsi con qualche variazione sul tema, o con qualche operazione di più spinta creatività. Tra gli spaghetti all’assassina di polpo, che recuperano con ironia una moda corrente, e la sperimentazione delle potenzialità delle paste ripiene. Ovvero i tortelli farciti di burrata e maggiorana con bisque di gamberi rossi, tartare di gamberi rossi e mugnoli; e la valida alternativa dei ravioli farciti di stracchino e tartufo nero con vellutata di pomodori gialli, riccio, tartare di gamberi rossi, e gocce di gel al basilico. Magari per regalare un tocco cromatico alla gradevolissima esperienza gastronomica.






