Pittule: storia e mito di un cibo tutto pugliese

Spesso chi fa una provocazione si aspetta di farla franca. Ovvero provoca è si aspetta che gli si venga abbonata con lo sguardo di un altro che dice “ti lascio stare” e, così facendo, si sente un eroe. Il provocatore di oggi è il mio amico Sandro Romano che, su queste medesime colonne, ha osato discutere del linguaggio con particolare riferimento a ciò che gli è (e ci è) più congeniale: l’ars coquinaria. Che, volendo esser forbiti è un pochino meno grezzo di ars culinaria. Io la provocazione la prendo tutta e, come si dice in questi casi, ci metto anche il carico da undici.

Il fatto è caro Sandro e caro lettore che il vocabolario medio di un italiano di rado supera i duemila vocaboli e i luoghi comuni sono le cose che più facilmente restano in memoria come i ritornelli delle canzoni di Sanremo. Ma non accade solo in cucina, quante volte avrei sentito dire “bisogna fare rete”, costruire “interazioni sinergiche”, “fare sistema” e soprattutto “sviluppare resilienza”. Sono talmente diffusi da far concorrenza agli “splendidi scenari” e ai “saperi e sapori” che svettano ovunque.

Ho letto un bellissimo articolo di Ario Mezzolani su RollingStones che fa una disamina godibilissima sull’arte di appropriarsi delle pietanze in cucina e di far finta che siano proprie: di come il döner o shawarma diventa kebab e da tecnica di cottura millenaria lo rendiamo street food da migrazione. Di come il kipferl diventa croissant e cornetto e l’hummus da piatto semplice e popolare si fa brand etnico per le cucine più scic. Per non dire, aggiungo io, del kombucha che sta diventando la soluzione alla gotta e sostituisce perfino il Cialis.

Quel saggio breve, lo dico per pura immodestia, riconosce il fatto che la carbonara nasce con la seconda guerra mondiale come ebbi ascrivere e dimostrare in un piccolo saggio una dozzina di anni fa. Soddisfatta la legittima vanità e rispondendo alla provocazione, ma anche ad una promessa fatta tempo fa, mi provo a raccontare di un piatto che è “antichissimo” e ha le sue radici nella notte dei tempi secondo la vulgata dei tuoi colleghi scrittori di delizie gastronomiche. Se ne leggono moltissime ma tutte molto difficili da credere. Intanto per Santa Cecilia (22 novembre 1210) di una donna di Taranto distratta da San Francesco che fece lievitare tanto il pane che divenne impossibile da infornare e allora lei lo fece fritto incassando un gran successo. Immaginiamo questa donna che ha tantissimo olio e financo tantissimo miele o cotto da convertire il pane da infornare in pasta da friggere.

E così via discorrendo. Nella mia terra la “pìttula” dal greco “pita” che è un pane lievitato e piatto. Diventa pittula semplicemente dopo il 7 gennaio 1854, per una serie di concause: la pubblicazione della bolla Ineffabilis Deus di Pio IX che istituisce l’Immacolata Concezione, un triennio di “vacche grasse” e di benessere, i lampioni di Parigi che funzionavano con il nostro olio lampante e la conseguente larga diffusione dell’olio. Friggere il pane che si gonfiava diventò momento di convivio e, quando possibile, anche momento dei più svariati condimenti. Facendo nascere la pittula bianca e le varie pittule salate. Della vigilia dell’immacolata e di tutte le feste natalizie.

E certo che la storia della banda e di Santa Cecilia (protettrice dei musici) è più bella, ma somiglia moltissimo alla splendida location. E poi, caro Sandro, vuoi mettere cannella con cinnamomo? Ed esibire le proprietà nutraceutiche del cardamomo o del cardo mariano? Il fatto è che, se ne stanno accorgendo i finanziatori, che gran parte di ciò che viene pubblicato da un paio di anni a questa parte viene dalle INA (Intelligent Narrow Artificial) o, recentemente, dalle IGA (Intelligent Generative Artificial) e, dunque, la base dati “moderna è sempre la medesima arricchita da cose che sempre da essa derivano. Attenditi una stucchevole ripetizione anche nei prossimi anni ma io due pittule facili facili le posso sempre fare. Per te e per Nunzia Bellomo, perché le pittule salate non sono mai stucchevoli e nemmeno pacchiane!

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