Vocazione, passione, sacrificio. Quella di Matteo Maenza, nato a Trani nel 1984 e cresciuto a Bisceglie, è la storia di tanti ragazzi italiani, travolti dalla cucina in un vortice di esperienze internazionali. Nel più lieto dei fini, l’hanno depositato dentro una struttura da sogno, anzi due, dopo una gavetta senza esclusione di affanni. Subito dopo il diploma a Molfetta, il primo morso era stato all’altro Mastai di Fabio Baldassarre, con la stella nel carniere; poi il richiamo di mamma Francia e tre anni all’Hôtel de Crillon agli ordini di Jean-François Piège; una stagione presso Palazzo Sasso a Ravello con Pino Lavarra, poi di nuovo oltralpe alla Maison Pic; un anno di cucina romana nella trattoria di Fabio Baldassarre e poi il rango di sous-chef all’Andana; 8 mesi di Celler de Can Roca, l’apertura di Unico ancora con Fabio Balsassarre e nel 2013 finalmente l’approdo da chef al Lefay Resort di Gargnano, sul lago di Garda. Oggi è chef anche dello spin-off sulle Dolomiti trentine, dove il ristorante Grual nella scorsa edizione della guida Michelin ha ricevuto la stella.
Matteo, come descriveresti la tua cucina?
Direi che si è evoluta molto negli anni e si è adattata ai territori tutt’intorno, che si trattasse dei prodotti di montagna trentini del Grual o del pesce di lago del Gramen di Gargnano. Dietro mi porto sempre il background della cucina pugliese, nel senso che sono stato formato ai gusti decisi del sud. Per un certo periodo la chiave è stata un po’ troppo romana, l’ho capito da una recensione sull’Espresso e ho subito adottato le mie contromisure. La Francia pesa nell’impostazione classica sui fondi e sulla cucina di base, mentre dalla Spagna ho attinto alcune tecniche innovative, che ormai sono di uso comune. Poi ho cercato di rendere più mediterraneo il tutto, alleggerendo le mie preparazioni. Sono nato professionalmente a Gargnano, che è una spa destination, quindi la mia cucina si è dovuta adeguare alla clientela, in modo da essere fruibile tutti i giorni. Anno dopo anno lavorando negli alberghi ho capito che lo chef deve essere quasi un oste: tu vieni a casa mia e ti devi fidare di me. Vorrei che l’esperienza di benessere si ritrovasse in tutti i momenti del soggiorno, quindi la mia cucina non è necessariamente leggera, ma è sempre in linea con i tempi.
Puoi farci l’esempio di una ricetta in particolare?
Mi viene in mente la mia parmigiana, che è vegana, anche se non lo dichiariamo. La cucina a base di pesce e soprattutto verdure è tipica di Bisceglie e della Puglia in generale, quindi da cuoco ho sempre creduto nella parte vegetale e nella dieta mediterranea. Sono persuaso che noi chef meridionali su questi ingredienti abbiamo una marcia in più grazie alla generosità dei nostri territori di origine, perché fin da piccoli abbiamo modo di conoscere e apprezzare tante varietà. Quindi la scelta è stata naturale, non dettata dalla moda, ma perché sentivo che mi consentiva di esprimermi al meglio. In questo caso oltre alla melanzana fritta c’è il pomodoro fermentato, che rimpiazza l’umami del classico Parmigiano. Inizialmente per ricreare quella sensazione usavo la salsa di soia, ma cercavo qualcosa di più italiano. Per arrivarci sono occorse diverse prove, anche con l’acqua di prugna fermentata. In un piatto a tendenza grassa, per la frittura e per le mandorle, porta inoltre acidità. Rileggendo la ricetta tipica, l’idea era anche quella di enfatizzare la parte croccante derivata dal formaggio gratinato, attraverso sfoglie di pomodoro che danno ciclicità al prodotto. Perché l’acqua viene usata in osmosi, la polpa diventa salsa, il resto cialda.
Come ti sei adeguato ai diversi contesti?
La Puglia per me significa sapori netti e decisi, penso ai soffritti ubiqui e ai nostri salumi, così distanti dal prosciutto di Parma, asciutti e tendenti al rancido. Ed è così che sono cresciuto. Anche il lago ha una dimensione mediterranea, ma il pesce di acqua dolce è stato una sfida, che mi ha preparato all’approdo in Trentino. Ammetto di avere studiato tanto su alcuni testi classici francesi, come quelli della Mère Brazier, e sui ricettari regionali italiani, cercando sempre una versione gourmet. Il pesce di lago presenta carni molto magre e poco sapide, che hanno bisogno di cotture delicate o molto veloci e di un abbinamento con l’elemento grasso, vedi il persico fritto o il luccio confit nell’olio, perché rischiano di diventare stoppacciose, invece occorre salvaguardare la succulenza. Noi non facciamo bassa temperatura, ma usiamo le lampade calde affinché il pesce cuocia molto lentamente, senza raggiungere nemmeno i 50 gradi. La selvaggina è stata più facile da lavorare grazie all’esperienza in Francia. Ma la difficoltà maggiore è trovare in Trentino una parte vegetale importante, oggi per dire sta nevicando. Prepariamo una parte di conserve nella stagione estiva, ma molto limitata. Le fermentazioni non appartengono alla cucina italiana, meglio i sottaceti o la giardiniera.
Hai portato con te qualche ingrediente?
Nel menu invernale sono sempre presenti le cime di rapa in varie preparazioni, arrostite sulla griglia con il wagyu dell’Alto Adige o con salmerino e topinambur. Nel menu del lago serviamo una rivisitazione del pancotto arrostito, messo in ammollo in acqua di fagioli e finito con le foglie più robuste, che generalmente si buttano, tagliate a julienne e tostate. Mentre dai rametti ricaviamo un olio che ricorda il wasabi, usato per condire delle insalatine di erbe, in modo da sfruttare l’ingrediente intero. È proprio questo che cerco: lavorare sempre meglio il vegetale per riflettere il territorio.
MELANZANA ALLA PARMIGIANA
Ingredienti:
200 g di melanzana a porzione
Pelare la melanzana e fare spurgare con sale per una notte. Tamponare dal liquido, incidere al centro con un taglio a croce e friggere in olio di semi a 150 °C. Asciugare su carta (la melanzana dovrà risultare fondente) e pressare tra due placche.
Per la salsa di pomodori fermentati:
1 kg di pomodori misti
5 cipolle bianche
1 l di passata di pomodoro
7 foglie di basilico
200 g di acqua di pomodoro fermentata
Mettere sottovuoto i pomodori tagliati e conditi con il 2% di sale, fare fermentare in luogo caldo per 3-5 giorni, poi filtrare. Per la salsa, rosolare cipolla e basilico,
unire i pomodori e la passata, fare asciugare e versare l’acqua di pomodoro. Passare al setaccio. Se necessario regolare di sale.
Per la ricotta:
600 g di mandorle
3 l di acqua
sale
Reidratare le mandorle in acqua per un giorno, scolare, sciacquare e frullare unendo altri 3 litri di acqua. Trasferire in una pentola e portare lentamente a bollore con sale, spegnere e lasciare raffreddare- Filtrare alla stamina. Per le sfoglie di pomodoro, ridurre la passata di pomodoro con delle foglie di basilico. Eliminarle, regolare di sale e ogni 150 g di passata unire 100 g di acqua e 15 g di kuzu. Portare a ebollizione, stendere ed essiccare. Friggere le sfoglie e lasciarle asciugare al passe. Stendere sulla melanzana un po’ di salsa di pomodoro diluita con poca acqua di pomodoro fermentata e passare in forno a 170 °C per 10 minuti circa. Fuori dal forno sistemare sopra la melanzana, uno strato di salsa di pomodori fermentati a temperatura ambiente e del Gondino grattugiato. Dressare sul piatto un po’ di olio di basilico, sistemare al centro la melanzana e finire con le chips di pomodoro e qualche foglia di basilico.



