L’ospite che entra nel ristorante Carèm di Martano viene subito colpito da due elementi in apparente contrasto tra loro, o comunque molto distanti l’uno dall’altro. Da una parte l’antica pagliara in pietra viva (simile ai trulli) tipica del Salento, che svetta accanto all’edificio principale; dall’altra il nome dell’attività, che (forse involontariamente) ricorda Marie Antoine Carême, cuoco e scrittore francese del settecento. Due poli estremi che tuttavia convivono nella formazione professionale e nello stile culinario dello chef Giuseppe Amato, contemporaneamente caratterizzati tanto dalla conoscenza di raffinate tecniche internazionali, quanto dal legame con le radici autoctone.

Il suo infatti è stato un percorso alquanto singolare, e in parte seguito da autodidatta. Tra gli studi presso la facoltà universitaria di giurisprudenza, dopo il liceo scientifico, e quelli della scuola dell’Alma; passando attraverso le esperienze giovanili, una lunga gavetta come commis (aiutante di cucina) in diverse strutture stellate, e gli insegnamenti di grandi maestri. Per poi tornare alle radici territoriali appunto, e diventare chef executive dello stesso ristorante Carèm, dove ha mosso i suoi primi passi nel settore in veste di appassionato stagista esordiente. E qui oggi opera ai fornelli come se componesse una sinfonia o dipingesse un quadro. Nel senso che cura scrupolosamente l’effetto cromatico delle presentazioni, e che tende a realizzare un risultato finale decisamente armonioso, anche quando si misura con abbinamenti piuttosto arditi tra gli ingredienti. Anzi, si potrebbe dire che l’accostamento dei prodotti del mare e della terra sia una sorta di costante creativa nei suoi piatti, insieme al ricorrente utilizzo del jus, ovvero un condimento di base largamente presente nei manicaretti d’Oltralpe.

Lo possono facilmente scoprire coloro che prendono posto nella gradevole sala da pranzo (in origine un’abitazione privata) con accogliente camino centrale, ampio spazio nel verde per allestire fascinose cene estive, e la chicca dell’oliveto sul retro. Non a caso, una volta a tavola, viene servito un eccellente pane ai sette cereali fatto in casa, da intingere in un eccezionale olio di propria produzione: una ghiotta tentazione alla quale è impossibile resistere. Prima di procedere con le preparazioni di Giuseppe, organizzate nel rispetto di un preciso ordine tematico. A partire dall’esplosione di sapori e dal sorprendente equilibrio della zuppa autunnale: jus di anatra e di alghe marine con funghi e raperosse; oppure dal piccolo capolavoro della tagiatella di seppia con ceci alla cenere e jus di fegato di faraona e canocchie. In alternativa si può optare per le linguine con sinfonia di triglia di scoglio; e, tra i secondi, per il vitello porchettato (con lardo di Colonnata) con tartare di scampi, purea di zucca, chips di topinambur e jus di vitello di mare (anche chiamato smeriglio). Si chiude con la deliziosa fantasia di limone con polvere di olive nere, e con il desiderio di tornare presto a trovare Giuseppe.





