Mi piace tantissimo fare la spesa. Ovunque. A volte vado al supermercato per comprare un paio di cosette che mi servono e, invece esco con il carrello pieno di roba, perché mi faccio prendere dalla grande scelta di prodotti che è tutta lì davanti a me. Conto di passarci pochi minuti e invece esco dopo due ore. Idem quando vado al mercato. Giro tra le bancarelle curiosando, ma difficilmente mi lascio prendere dalle primizie di stagione, non tanto per il costo quanto per il fatto che non sono mai pronte al punto giusto.
Mi rivolgo sempre agli stessi venditori che conosco da anni, il pesce lo prendo da Mimmo, le verdure spontanee da Francesco, frutta e ortaggi da Luca, il baccalà da Martino. Tutti mi conoscono e mi forniscono sempre roba di qualità, riconoscendomi una buona competenza e ben sapendo che sono in grado di selezionare con attenzione i prodotti e che, oltretutto, se ne vale la pena, non faccio troppa attenzione al prezzo. Ciò che è buono, salvo rari casi bisogna pagarlo, questo è il mio motto.
Al banco salumi, se compro il prosciutto crudo e vedo che me lo stanno pulendo da quel meraviglioso e dolce grasso che avvolge le carni, li blocco immediatamente e, spesso, il banconista si meraviglia della mia richiesta, abituato com’è ad avere spesso a che fare con chi gli chiede di darglielo bello magro. Ma come si può deturpare un prezioso San Daniele o un Parma privandolo di quella dolcezza che contrasta la sapidità della carne magra?
Saper fare bene la spesa è il primo passo per mangiare bene, il saper cucinare è altrettanto importante, ma viene dopo, perché se non hai un buon prodotto è ovvio che non puoi avere neppure un buon piatto. In questo, il rapporto con i venditori è importante, deve esserci fiducia e anche loro, oltre a vendere, devono imparare a riconoscerti e ad apprezzare e comprendere le tue richieste. È capitato anche a me, a volte, di beccarmi mezze fregature da fornitori non abituali, che tendono ignorantemente solo a lucrare, utilizzando piccoli trucchetti. C’è quello che ti fa la cresta sul peso, quello che spaccia un prodotto per un altro, quello che ti infila nella busta qualcosa di vecchio, mescolandolo tra la roba più fresca.
Qualche tempo fa mi ha persino divertito un ragazzetto che aveva una delle bancarelle più belle e meglio assortite del mercato. Mi sono avvicinato perché volevo le sue nespole che apparivano bellissime, grandi e senza ammaccature, di colore vivo, anche se costavano pure una bella cifra. Non nascondo il fatto che mi aveva attirato tanto quella bancarella, così mi sono avvicinato e gli ho chiesto di farmene un chilo. Il ragazzetto, però, ha cominciato a riempire la busta con quelle che aveva alle sue spalle , bruttine e ammaccate, non prendendole da quelle esposte, e così mi è sembrato giusto protestare. Mi sono sentito rispondere con spocchia che quelle erano solo da esposizione e che non poteva darmele. Ovviamente gli ho lasciato lì la busta e sono andato via. Un altro aveva delle belle ciliegie di colore rosso scuro, esattamente come piacciono a me, con il cartellino “Ferrovia”, cioè quella che, per me, è la regina incontrastata delle ciliegie. Le compro e mi avvio verso casa, ma per golosità ne assaggio un paio, che però sono morbide e senza sapore, non croccanti come si conviene a quella tipologia di ciliegia. Insomma non erano ciliegie Ferrovia, così torno indietro e gliele restituisco, beccandomi una serie di insulti, perché secondo lui dovevo accorgermene prima. Roba da matti!
Un discorso a parte merita la macelleria, e anche lì ho i miei fornitori di carne di fiducia. Vicino al mercato di Santa Scolastica c’é Mimmo, bravissimo, e c’è pura la comodità di poggiare l’auto in tranquillità riportando il biglietto della spesa timbrato da lui al parcheggio. Da lui, attendendo il mio turno, ascolto le richieste di chi mi precede nella fila. Spesso sento chiedere al macellaio: “Dammi delle belle fettine sottili e senza grasso, mi raccomando!” E già mi immagino quelle fettine messe in padella e stracotte fino a farle diventare delle suolette di scarpe.
Io invece acquisto sempre pezzi particolari come il diaframma, l’entrecote, le bistecche, quelle belle alte da cuocere al sangue, oppure le preparazioni come le bombette, gli “gnemerìidde” e il marro. E, nella carne, il grasso ci deve essere, la marezzatura è un valore e pure lo spessore ha la sua grande importanza. Ma la cosa che più di tutte mi diverte, dei macellai baresi è un’abitudine, una “creanza” che rivolgono ai loro clienti e che è davvero un classico tutto nostro, quando viene preparata la salsiccia, quella di vitello o di cavallo. Come si sa, la salsiccia sottile si fa con carne tritata magra e un poco di grasso per donare morbidezza, il tutto si condisce mescolandolo con altri ingredienti come vino, sale, pepe e formaggio, il più delle volte Grana Padano o Parmigiano Reggiano, ma a volte anche Canestrato o Pecorino Romano.
Poi si insacca nel budello di ovino e può prendere varie forme, ognuno ha la sua, di solito viene strozzata ogni 10/15 cm, oppure arrotolata a zampina e qualcun altro la fa più piccola formando delle piccole salsicce a forma di C da infilare negli spiedini di legno per la cottura alla brace. Trattandosi di una preparazione, la ricetta non è mai uguale tra i vari macellai, ognuno ha la sua ricetta di famiglia, e quella porta avanti da sempre. Ecco, quella salsiccia a Bari, e solo a Bari, è una sorta di bigliettino da visita. Appena fatta il macellaio ama offrirla così com’è, cruda, agli astanti. Una sorta di omaggio, che serve anche a creare empatia con il cliente e, perché no, a promuovere il prodotto.
“Mè, assaggia ‘sta salzizza – dice il macellaio porgendola al cliente sullo stecchino o in un pezzo di carta – l’ho appena fatta ed è la fine del mondo”. Un gesto che ho rivisto pochi giorni fa proprio da Mimmo, e che ho voluto immortalare con una foto, perché, secondo me, la salsiccia cruda rappresenta una vera e propria ricetta della cucina tradizionale barese. Non cibo di strada e neppure casalingo, in quanto a Bari non vedrete mai qualcuno mangiarla mentre passeggia e, una volta arrivata a casa, è destinata a finire in padella o sulla griglia.
Lo definirei cibo da bottega, è una cosa che potrete gustare soltanto dal vostro macellaio di fiducia e, dirò di più, è lì che trasmette la poesia del gesto, un po’ come i ricci e le cozze mangiati “ngànne a mare” (vicino al mare) o la frutta raccolta e assaporata direttamente in campagna all’ombra dello stesso albero.


