Santi Paduli, la ribellione gentile che rigenera i paesaggi del Salento

La Xylella ha lasciato cicatrici profonde nel paesaggio salentino, cancellando in pochi anni interi uliveti. Ma la malattia non è stata l’unica causa del declino: già da tempo il valore dell’olio locale si era ridotto, le pratiche agricole erano rimaste ancorate a modelli antichi e poco competitivi, e tanti piccoli proprietari avevano iniziato ad abbandonare i campi. È in questo contesto che nasce l’esperienza di Santi Paduli, un progetto che affonda le radici ben prima dell’emergenza fitosanitaria, nel lungo percorso di attivismo e ricerca del Parco Agricolo dei Paduli, che oggi si propone come una vera e propria politica del cibo per la rigenerazione del territorio.

L’iniziativa è promossa dall’associazione Lua che ha incubato la nascita della cooperativa sociale Santa Fucina, fondata nel settembre 2023 da Giorgio Andrea Ruggeri, Stefania Antonia Semeraro, Mauro Lazzari, Francesco Buccarelli e Luca Cosimo Coluccia. «Siamo partiti in cinque – racconta Giorgio – dopo un percorso di associazionismo che ci ha visti lavorare per anni attorno al Parco dei Paduli. Oggi siamo ventitré persone e cerchiamo di mettere in rete competenze diverse: dall’ufficio stampa al management, dalla filiera agricola a quella turistica.»

Il Parco dei Paduli non è un parco riconosciuto formalmente, ma una figura paesaggistica inserita nel Piano Paesaggistico Territoriale della Puglia. Qui, al centro della provincia di Lecce, si è sperimentato un modello di agricoltura multifunzionale che unisce coltivazione, cultura e partecipazione comunitaria. La particolarità di quest’area è la forte frammentazione fondiaria: la maggior parte degli uliveti appartiene a famiglie che hanno sempre gestito piccoli appezzamenti, spesso tra i venti e i cento alberi. «Era come se durante la stagione dell’olio i paesani si trasferissero in campagna – spiega Giorgio – ognuno con pochi alberi, ma insieme garantivano la cura del paesaggio».

Già nel 2012, con il programma Bollenti Spiriti promosso dalla Regione Puglia, il gruppo aveva avviato un laboratorio urbano per sperimentare nuove pratiche di uso del territorio. Tra il 2012 e il 2017 è nato così l’olio “Terre dei Paduli”, prodotto da ulivi abbandonati che i proprietari concedevano gratuitamente. «Andavamo a raccogliere olive da campagne che nessuno voleva più coltivare. Per i proprietari era un peso, per noi un modo di ridare valore a quelle terre», ricorda Giorgio. In passato, nella zona, era consuetudine raccogliere le olive cadute a terra, ottenendo oli lampanti, tipici di un’epoca in cui l’olio era destinato soprattutto all’illuminazione. L’esperienza dei Paduli ha invece voluto invertire questa tendenza, trasformando uliveti trascurati in fonte di un extravergine di qualità. Parallelamente, il gruppo ha sperimentato forme di ospitalità leggera, come installazioni artistiche e glamping nell’uliveto pubblico, rafforzando così la fruizione culturale del paesaggio.

L’arrivo della Xylella nel 2013 ha accelerato la crisi: con il disseccamento progressivo, molti oliveti sono stati abbandonati, gli incendi hanno iniziato a devastare intere porzioni di territorio e le comunità che garantivano la manutenzione diffusa hanno perso la forza di continuare. Le aziende più grandi hanno potuto riconvertire con nuove varietà come Leccino e Favolosa, ma l’80% dei terreni, nelle mani di piccoli proprietari senza redditività agricola, è rimasto senza prospettive. «Mio padre, come tanti altri, a un certo punto ha detto basta. Non c’erano le forze né le possibilità di sostituire gli ulivi secchi con altre colture», racconta Ruggeri.

Da qui nasce Santi Paduli, con il sostegno di Fondazione CON IL SUD, come risposta a un paesaggio che rischiava di scomparire. L’idea è semplice e potente: usare la domanda pubblica delle mense scolastiche per orientare la produzione agricola locale. «Se i bambini mangiano cibo sano e di prossimità, i produttori avranno un mercato certo per tornare a coltivare – spiega Ruggeri –. È un meccanismo che sembra banale, ma in realtà è rivoluzionario».

Il progetto si articola in quelli che i promotori chiamano “atti di cura”. Il primo è la Buona Mensa, attiva dall’ottobre 2024: ogni giorno serve circa 350 pasti in otto scuole dei comuni dell’Unione delle Terre di Mezzo, grazie al lavoro di 23 persone e al coinvolgimento di circa 18 aziende agricole, caseifici e panifici locali. I menù sono dinamici, costruiti settimanalmente in base alla disponibilità dei prodotti in campo, senza rinunciare agli standard nutrizionali previsti. La progettazione è avvenuta attraverso i “banchetti della ribellione gentile”, tavoli di confronto che hanno riunito insegnanti, agricoltori e amministratori per fissare principi condivisi e obiettivi concreti, compresa la graduale transizione al biologico.

Dal lavoro della mensa è nata l’Osteria Sociale di Surano, aperta nell’ex mercato coperto: a pranzo propone lo stesso menù servito nelle scuole, ribaltando l’idea della mensa come sinonimo di bassa qualità e offrendo uno spazio di socialità a prezzi accessibili. «È un luogo aperto a tutti – sottolinea Ruggeri – pensato anche per chi si trova a mangiare in solitudine e può qui condividere un pasto dignitoso.»

Un altro tassello è il Bosco del Parco, otto ettari di terreno acquistati dalla cooperativa e destinati a diventare un’agroforesta. Le coltivazioni saranno guidate dai fabbisogni delle mense, ma il sito ospiterà anche scolaresche e gruppi, come spazio di educazione ambientale e accoglienza.

Tutto questo è racchiuso in una filosofia che i promotori definiscono “ribellione gentile”: una reazione collettiva e non violenta al degrado del paesaggio. «Qui bisogna darsi una svegliata – afferma Ruggeri –. Ogni genitore che sceglie di dare ai propri figli un pasto della Buona Mensa compie un atto politico. Sta contribuendo a coltivare nuovamente un paesaggio che altrimenti andrebbe perduto.»

La prospettiva è di medio-lungo termine: consolidare la rete dei produttori, accompagnare la transizione al biologico, sviluppare l’agroforesta e continuare a costruire relazioni tra comunità e territorio. Perché, come ricorda Ruggeri, «mangiare bene significa stare bene. E se pretendiamo insieme qualità, sarà naturale che anche i produttori si orientino verso questo modello. Così il paesaggio tornerà a vivere.»

Foto Credit: Marco De Mitri e Francesco Buccarelli

 

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