Per raccontare Scoop Gelato e Caffè bisogna partire da un assaggio: un cucchiaino di Crema cannella, “quella del Bar Rosa”. È da questo gusto che inizia il racconto di una storia, giunta alla quarta generazione, incastonata nel cuore della provincia BAT, a Canosa di Puglia. Questa gelateria, che oggi attira visitatori da tutto il nord barese e non solo, ha fatto del suo banco a pozzetti un punto d’incontro tra passato e futuro. Dietro il bancone ci sono Francesco Di Nunno e il suo socio Marco Di Sibio. Nel 2016 Francesco decide di rilevare il bar di famiglia, il Bar Rosa, noto in città proprio per il gelato al caffè e questa crema all’uovo aromatizzata alla cannella (nonché per lo spumone che unisce i due gusti). Obiettivo: provare a portare in città un prodotto diverso, frutto di ricerca, ragionamento, memoria e piacere.
Insegne e matrimoni
La storia di Scoop inizia in piazza della Repubblica negli anni Quaranta. Qui sorgevano due bar: il SantAngelo e il Caffè Bovio. In quest’ultimo lavorava il bisnonno di Francesco, Michele Di Nunno. Nel bar SantAngelo c’era invece quella che sarebbe diventata sua moglie, Maria Santganelo. La morte prematura di quest’ultima lo spinge a risposarsi e a chiudere Caffè Bovio, mandando il figlio Francesco a lavorare nel bar SantAngelo. Morti i proprietari originari, Francesco rileva l’insegna. Tramandato di padre in figlio come un gioiello di famiglia, il nonno di Francesco, suo omonimo, dà un nuovo nome al locale, chiamandolo Bar Rosa, forse per scrollarsi di dosso la fama che quell’insegna aveva in passato o forse per cercare di scrivere una storia nuova. Il Bar Rosa dà da mangiare a tutta la famiglia di Francesco. Padri e figli lavorano insieme, anche se uno di questi, Michele (il papà dell’attuale proprietario) ha una laurea in tasca e per quarant’anni continuerà ad alternare il lavoro al bar con la cattedra d’inglese. Nel 1999 l’entusiasmo della famiglia Di Nunno per il Bar Rosa sembra affievolirsi. Si parla di vendere. Sullo sfondo, anche se ancora per poco, c’è Francesco, che in quel laboratorio è cresciuto imparando ad amare il gelato.
Forse non tutti sanno che Canosa di Puglia è nota anche come “la piccola Roma”: sorge su sette colli, è uno dei siti archeologici di epoca romana più ricchi d’Italia, si trova sulla via Appia che, appunto, porta alla Capitale. I canosini Doc come Francesco si vantano spesso di questo primato. Proprio per questo, quando è stato il turno di papà Michele di prendere le redini del Bar Rosa, nasce una nuova insegna: The way to Rome. In quegli anni Francesco segue le lezioni – contro la sua volontà, a dirla tutta – per diventare geometra. Ma da vero “scaldabanco” come si definisce tutt’ora, trascorreva tutto il suo tempo libero lavorando nel bar di famiglia. Dal 2004 al 2011 affianca lo zio. Prova a seminare qualche idea nuova tra il bancone e il laboratorio. Prova a far sentire la sua voce, ma si scontra con un muro fatto di tradizione e forse inerzia. Così decide di lasciare la sua città per provare a camminare da solo.
Andata e ritorno
Nel 2013, pentito di non aver potuto iscriversi all’istituto alberghiero contrastando la volontà paterna, che lo voleva geometra e “libero” dal bar, Francesco si iscrive all’Università dei Sapori di Perugia. Qui frequenta la scuola italiana di gelateria, dove acquisisce le basi dell’arte fredda secondo Lucas Caviezel e Carlo Pozzi. Dopo quel percorso, inizia a lavorare con Alberto Marchetti per circa un anno. Qui apprende l’arte della composizione del cono e tutto ciò che c’è da sapere sul gelato contemporaneo. Ma il cuore di chi nasce in Puglia resta in Puglia per sempre. Unico desiderio pilota delle scelte della vita: tornare, sempre. Così, alla fine dell’estate del 2015, Francesco fa il suo ritorno a Canosa e a gennaio 2016 rileva il bar di famiglia. Con Marco, che porta con sé una solida esperienza nella catena di hotel Accord, inizia i lavori di ristrutturazione, concependo la seconda parte dell’insegna, quella che recita “gelato e caffè”. Il nome Scoop invece racconta della sorella di Francesco, Marianna, trasferitasi da tempo in Australia. Mentre si cerca un nuovo nome per questo storico bar, salta fuori questo schioppo linguistico, Scoop, che in inglese significa proprio “pallina di gelato”.
«Io volevo chiamarlo SantAngelo – ci racconta Francesco – per riannodare i fili con la storia di famiglia, ma mio padre, che mi ha sostenuto in questa avventura, me lo ha sconsigliato: ‘non è il nostro cognome – mi ha detto – e ricorda un passato triste ormai sepolto’. Tuttavia, la scelta del nome Scoop è ancora il mio unico rimpianto in tutta questa storia. Tornassi indietro, farei diversamente».
Quando Francesco taglia il nastro capisce che tutti i tasselli della sua vita vanno a posto. «Ho sentito di aver realizzato il sogno della mia vita. Mio padre aveva cercato di scoraggiarmi per sottrarmi a un mestiere pesante. Ma, davanti all’inerzia di mio zio, ho avvertito forte dentro di me una certezza: dovevo cambiare questa storia. Il mio insegnante di Costruzioni mi diceva sempre: ‘Di Nunno, tu solo il gelato puoi fare nella vita’. Be’, su questo ha avuto ragione!».
La filosofia di Scoop
Per comprendere la filosofia alla base del gelato di Scoop si parte osservando il banco. Niente vetrina, solo pozzetti: un’eredità dell’esperienza con Marchetti. «La perdita del colpo d’occhio è compensata dal risparmio energetico e da una migliore shelf life del gelato. In più, i pozzetti offrono quell’allure retrò che oggi ci piace tanto».
All’interno c’è un gelato naturale, che si nutre della città. «Sono figlio di Canosa di Puglia. Tutti mi conoscono da quando sono nato. Per questo i contadini vengono a farmi assaggiare i fioroni di varietà ormai quasi estinte: se mi piacciono, trasformo quella frutta in gelato. Conosco ogni varietà di percoca del territorio: dalla Federica fino alla magnifica 6, quella con il grado Brix più alto e il sapore più intenso. Le mandorle che usiamo sono sì varietà Filippo Cea, ma nate e raccolte qui, a Canosa. La nostra forza sono le persone del territorio. Il nostro gelato è quello che è anche e soprattutto grazie a loro».
Il processo di selezione delle materie prime guarda fuori dai sentieri battuti. Il pistacchio non è quello di Bronte – inverosimilmente disponibile ovunque – bensì quello di Feudo di San Biagio commercializzato da Agrimontana. La nocciola è la Tonda di Giffoni, commercializzata da Alfonso Grimaldi, che fa una lavorazione minuziosa del suo prodotto. Parola d’ordine, dunque, micro, che riverbera soprattutto nella scelta delle masse di cacao, tutte di piccoli produttori selezionati grazie alla distributrice Beatrice Rosa di Cacao Motum. «Mi manda i campioni, li assaggio ed eventualmente compro. Non lavoro fave di cacao (forse l’unica “scorciatoia” presa da Franceso, ndr.): ho una piccola molazza da banco, ma non ho le competenze né il tempo per usarla. Quando arriva la primavera, qui ci facciamo il mazzo!».
Fuori dai sentieri battuti
Nella carta ci sono prodotti creativi, che potrebbero far storcere il naso ai “puristi” del gelato. Un esempio è il gusto Biscotto Lotus, un gelato con base latte in cui viene sbriciolato il prodotto. «È forse l’unica concessione a un gelato di massa, ma anche qui c’è una storia. Infatti, il gusto è nato per una scommessa con una cliente, innamorata di questo biscotto e desiderosa di ritrovarlo in forma di gelato». Ovviamente la scommessa l’ha vinta Francesco e ora il gusto è saldamente presente nella carta.
Un’altra grande scommessa, vinta però a metà, riguarda la panna. Dagli anni di Milano Francesco aveva messo in valigia l’idea di proporre la panna a pozzetto montata in planetaria e non nel classico montapanna, proponendo una materia prima di partenza di origine esclusivamente animale. Questo prodotto ha una percentuale grassa molto più alta, che restituiscono una panna simile alla ricotta. La clientela – vecchia e nuova – non ha accolto bene la novità, che resta l’unica nota negativa nei ricordi legati all’apertura. «Abbiamo dovuto adattare la percentuale di panna animale ai gusti dei clienti. Anche perché questo tipo di prodotto comporta anche un problema di gestione per gli operatori nella creazione del cono, altro tasto dolente del settore».
Si potrebbe storcere il naso anche davanti a La Strega Buona. Ma la descrizione convince e invita. Infatti, altro non è se non un gelato di ricotta fresca, latte e panna della Masseria Posticchio Sabelli di Lavello, mischiata con zucchero e bagna di liquore Strega, poi cucinata in forno. «In questo modo attiviamo la reazione di Maillard, restituendo il sapore della crostata. Lo chiamano anche ricotta stregata».
«Di gusti ne facciamo tanti e, a parte il biscotto Lotus, per le preparazioni partiamo quasi sempre da zero. Tra questi c’è un gusto che omaggia la sfogliatella canosina, prodotto agroalimentare tradizionale tipico di Natale. Questo dolce ha un ripieno di mandorle tostate, chiodi di garofano, cannella, uvetta, pezzettini di cioccolato, mostarda d’uva, racchiuso in una sfoglia a base di farina, olio, un pizzico di sale e vino bianco, cucinata in forno. Proponiamo questo gusto sia a ridosso delle festività natalizie sia d’estate».
Ma è difficile imbrigliare la fantasia di Francesco, che sperimenta in continuazione, anche quando i metri quadri del laboratorio diventano troppo stretti. Al suo fianco ormai da dieci anni c’è Alessandro Vecchigno, con cui Francesco è cresciuto nel quartiere dove abitava, e che ancora oggi è parte integrante del laboratorio di Scoop. A guidare queste esplorazioni, oltre alla creatività, c’è la memoria. Proprio grazie a quest’ultima ha capito che non avrebbe mai realizzato il gusto “pane, burro e marmellata” perfetto. «Nonostante il supporto del pane de Il Toscano di Marco Lattanzi, la verità è che quella non è la nostra merenda. Per questo il gusto non trovava mai un consenso unanime». Dopo l’esperienza a Milano, il ricordo dello zafferano lo perseguitava: «ho provato a mettere insieme zafferano e arachide, zafferano e cioccolato bianco… Ma anche lì ho dovuto accettare che si tratta di un ingrediente che non ci appartiene».
Meglio continuare a lavorare inseguendo, la memoria del gusto, che ci riporta dritti a quella crema che profuma di cannella e che tutti, a Canosa, riconducono sempre e solo al Bar Rosa. «Considero questa ricetta uno dei più grandi tesori della mia famiglia. Mio nonno Francesco metteva la cannella in infusione con latte, panna e uova in cottura. Oggi faccio la stessa cosa utilizzando un pastorizzatore e dei portaromi molto grandi». Stessa cosa per il gelato al caffè, composto per il 60% da espresso della macchina da bar che accoglie i clienti. «Prima si facevano cucinare caffè, uova e zucchero di canna con carruba, usata per addensare, ingrediente che uso ancora oggi. Ma grazie ai miei studi, ho messo a punto una ricetta più efficiente: preparo una crema inglese e poi la mescolo al caffè, abbreviando i tempi di produzione».
Progetto per il futuro
C’è un altro componente della famiglia Di Nunno che non abbiamo ancora nominato: Gianpaolo, fratello di Francesco. È con lui che sta scrivendo il futuro di Scoop. Formatosi alla corte del celebre panificatore Davide Longoni, Gianpaolo è un esperto del comparto caffetteria. Lui e Simone Porro, professionista formatosi nel laboratorio di Canosa, daranno vita al secondo punto vendita di Scoop Gelato e Caffè a Minervino Murge. L’inaugurazione è prevista a marzo 2026.
«D’estate tanti canosini vanno a riposarsi al fresco del faro. In più, in questo paese manca un riferimento sul gelato e, grazie alle dimensioni del laboratorio di questo secondo locale, avrò finalmente lo spazio per sperimentare liberamente». Dal paese chiamato anche “balcone di Puglia”, per Francesco sembra ancora più vero il detto “l’unico limite è il cielo”.