Il fico d’India pugliese, un frutto succulento prodotto in tutta la regione

Il fico d’India è una pianta che può ricordare territori lontani alla Puglia, invece, proprio in questa terra affonda le proprie radici, rappresentando sin dai primi anni del Novecento una coltura da reddito molto importante, soprattutto nelle zone maggiormente aride e marginali. Non a caso, nel testo “Oro di Puglia” (Vincenzo Rivera, 1928) l’autore descrive la coltura del fico d’India come una delle principali fonti di ricchezza della città di Manfredonia. Ma non solo in Capitanata, poiché l’autore descrive la coltivazione su larga scala del fico d’India anche nella provincia di Lecce, evidenziando anche gli alti profitti. Sempre in questo scritto è ben descritto l’utilizzo del fico d’India in Puglia non solo come frutto fresco ma anche come materia prima per la produzione di marmellate e sciroppi.

Il Fico d’India pugliese, chiamato in dialetto salentino: ficarigna, è un frutto succulento appartenente alla famiglia delle Cactacee, originario del Centroamerica ma naturalizzato in tutto il bacino del Mediterraneo, soprattutto nelle zone di Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna. Il frutto è una bacca carnosa, uniloculare, con numerosi semi, il cui peso può variare da 150 a 400 g. Dal 2024 questo prodotto è stato inserito nei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali).

Le caratteristiche di questa pianta sono: ottima resistenza all’aridità e adattabilità alle diverse condizioni pedologiche. I suoli idonei alla coltura hanno una profondità di circa 20–40 cm, sono terreni leggeri o grossolani, senza ristagni idrici, e con valori di pH che oscillano tra 5,0 e 7,5 (reazione acida, neutra o leggermente subalcalina). Dal punto di vista altimetrico, le superfici destinate alla coltivazione possono andare dai 150 ai 750 metri sul livello del mare.

La propagazione si attua per talea, si preparano tagliando longitudinalmente in due parti cladodi di uno o due anni, che vengono lasciati essiccare per alcuni giorni e poi immessi nel terreno, dove radicano facilmente. La potatura, da eseguirsi in primavera o a fine estate, serve ad impedire il contatto tra i cladodi, nonché ad eliminare quelli malformati o danneggiati. Per migliorare la resa è opportuna una concimazione fosfo-potassica, preferibilmente organica. La raccolta dei frutti viene effettuata con apposito attrezzo che permette di staccare agevolmente i frutti dalla pianta, evitando il contatto delle mani con le spine. Periodo di produzione è da agosto ad ottobre.

Dopo aver raccolto i fichi d’India bisogna procedere con la rimozione delle spine. La procedura per l’eliminazione delle spine prevede l’immersione dei frutti per almeno mezz’ora in acqua a temperatura ambiente. Successivamente, indossando i guanti, occorre spazzolare i fichi d’India con uno scovolino per bottiglie o con una spazzola, per eliminare buona parte della peluria e sciacquare con acqua corrente per eliminare le spine.

Una volta rimosse le spine (la maggior parte), bisogna sbucciare i fichi d’India maneggiandoli con cura, per evitare che qualche spina superstite ci penetri nella pelle. Incidere la buccia con un coltello nel verso della lunghezza e poi eliminare le estremità. Tenendo fermo il fico d’India, rimuovere la buccia facendo rotolare il frutto su sé stesso.

La tradizionalità del fico d’India per la Puglia è anche riconducibile dal fatto che la sua immagine è utilizzata in molte ceramiche, soprattutto in Salento, dagli artigiani locali, a dimostrazione dell’importanza storico-culturale di questa specie per la Puglia. La tradizione gastronomica pugliese prevede per questo frutto la realizzazione di una confettura e del liquore di fico d’India,  prodotto inserito nell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali pugliesi nel 2001.

Foto Credit: Erika Musardo

 

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