Si direbbe che la prima metà di luglio sia un momento ancora magico per concedersi una vacanza nel selvaggio e fascinoso promontorio del Gargano: tra le incantevoli coste varie e frastagliate, e la meravigliosa sorpresa della Foresta Umbra che si estende nel vasto entroterra. Fino a raggiungere il centro storico di Vieste, la cui origine medievale spiega la ripartizione dell’abitato in tante minuscole contrade, che si potrebbero anche definire quartieri. Uno di questi si chiama La Ripa, e comprende i vicoli tortuosi che circondano con affettuosa discrezione la “Chianca Amara”, conservata per commemorare i concittadini vittime della remota strage compiuta dai turchi. E poi, attraverso gli stessi vicoli della Ripa si raggiungono le mura esterne, dalle quali è possibile ammirare un magnifico panorama del borgo arroccato sugli scogli, e di una sconfinata distesa di azzurro.
Davvero una bella passeggiata, che non può non prevedere una sosta in un ristorante totalmente immerso nella realtà circostante, con la quale vive un evidente rapporto simbiotico. Tanto da assumere il nome dello stesso quartiere, e da conservare al suo interno (e nel dehors antistante) l’autentica suggestione delle pietre secolari. Ed è anche una piccola impresa familiare, in quanto gestita dai fratelli Andrea e Marcello Miacola (entrambi chef), con il fondamentale supporto della loro mamma, la gentile e solare signora Anna Cariglia, la cui squisita accoglienza fa sentire tutti gli ospiti a casa propria. Andrea e Marcello hanno affrontato percorsi professionali differenti, e percorsi geografici differenti. Se Marcello ha lavorato in alcune strutture alberghiere di lusso nel continente africano, Andrea si è diretto a nord, per entrare in importanti cucine stellate (soprattutto) della Danimarca. Ora tuttavia sono insieme nella loro Vieste, e nella loro Ripa, sebbene con ruoli in parte separati, perché Marcello si occupa anche del vicino Adalt, un locale che propone street food di marca pugliese. Mentre Andrea ha il merito di innestare nel solco della tradizione marinara autoctona l’impiego di raffinate tecniche di cottura. Tecniche, non tecnicismo, in quanto l’istinto naturale e la profonda conoscenza delle materie prime selezionate riescono a prevalere, e a regalare un’anima al risultato finale.

Lo dimostrano alcune memorabili soluzioni. Che si tratti del perfetto equilibrio della razza con cetriolo e cumino; o della sontuosa seppia con il suo nero e i limoni di mare. Un apice assoluto, da raggiungere dopo una fascinosa esperienza scandita da tante tappe intermedie. Un’esperienza che prende l’avvio con i geniali amuse bouche, quali la finta oliva che racchiude un gazpacho, la tartelletta con il baccalà, e le fragranti chips da intingere in un’emulsione all’olio di oliva da applauso. Per poi procedere con la capasanta con carote in due consistenze; oppure con i sentori più intensi della mozzarella di bufala con alici e salsa di rucola, e dei cremosi troccoli alla polpa di ricci. Il tutto con il valore aggiunto della leggerezza delle esecuzioni, e dell’utilizzo di un numero limitato di ingredienti, sempre perfettamente riconoscibili.




