Radici del Sud ha celebrato la ventesima edizione. Il festival itinerante del vino quest’anno ha avuto come sede una location per certi versi straordinaria, la Ex Distilleria Cassano, a Gioia del Colle. Nicola Campanile è l’ideatore e l’organizzatore di Radici del Sud. Rassegna che per sei anni era stata ospitata dal castello di Sannicandro di Bari e, prim’ancora persino da Borgo Egnatia, quando non era ancora il posto dei sogni che è poi diventata la struttura fasanese. La Fiera del Levante? “No, sarebbe dispersiva: Radici del Sud ha la necessità di tenere raccolte le aziende, fianco a fianco”.
Una settantina gli espositori. “Nel tempo siamo diventati un piccolo punto di riferimento in un comparto agricolo di grande importanza per la Puglia, anche perché abbiamo aperto all’olio, incontrando il favore di molti operatori che, per esigenze o per tradizione, producono sia il vino che l’olio.
Il vino, in particolare, pur continuando a vivere la lunga stagione di un innegabile successo che ha portato le contrade pugliesi ad essere competitive in tutto il mondo, è costretto ad affrontare scenari con rischi enormi, dai dazi trumpiani agli effetti collaterali della stretta sulla guida dopo aver assunto alcol, fino alla xylella che, dopo ulivo e mandorlo, ha cominciato ad aggredire la vite (per ora quella dell’uva da tavola).
“Al momento i dazi sono soprattutto una violenza psicologica”, dice Marianna Annio, vivace imprenditrice a capo di Pietraventosa, azienda di Gioia del Colle. L’aumento del prezzo al momento non sembra spaventare più di tanto il consumatore medio americano, ma le cose cambiano di giorno in giorno e il ruolo dei buyers (loro sì che sono molto preoccupati) diviene ancora più importante. “Il vero pericolo – la Annio sposta l’attenzione sugli strali del Codice della strada -, sono i superalcolici, specie quelli a basso prezzo. E in ogni caso, non parliamo di vino privato dell’alcol, rischieremmo di produrre succo d’uva. Il vino è quello, e tale deve restare”. Insomma, il dealcolato bocciato senza rimedio.
Dalla cittadina di San Filippo Neri, aziende come Pietraventosa (70% della produzione) o Plantamura (addirittura 8 bottiglie su 10) fanno della esportazione il core business. E quindi i dazi Usa debbono essere in qualche modo neutralizzati: ampliando i mercati, innalzando la soglia della qualità e magari riducendo gli utili (soprattutto degli intermediari).
Chi invece non si pone problemi con l’export è Peppe Zullo. Il suo Ursaria ha un mercato locale, come il Superapulia, una sorta di Sassicaia dei Monti Dauni. E concludere il tour di “Radici” con l’etichetta disegnata per il cuoco-contadino di Orsara da un artista come Leon Marino dà il senso di un viaggio da fiaba.