Francesco Antonio Di Mauro è il nuovo chef del ristorante “Le Lampare al Fortino” di Trani

Determinazione e rispetto sono i tratti distintivi di Francesco Antonio Di Mauro, chef di origine campana, che dallo scorso febbraio è approdato alla guida della cucina del ristorante “Le Lampare al Fortino” di Trani. L’arrivo in Puglia assume per lo chef un valore personale e professionale: “Voglio continuamente mettermi in gioco, per dimostrare anche in Italia il mio valore, poi a Barletta vive mia moglie Lorenza, lei ha rinunciato tanto per seguirmi nel mio lavoro. Era da anni che desideravo rientrare, essendo ambizioso ho trovato nelle Lampare il luogo giusto dove poter concretizzare le mie ambizioni”, con queste parole lo chef ha spiegato la sua scelta di cuore e di testa che l’ha portato in Puglia.

Chef Di Mauro ha trentasette anni, un’età matura, come lui stesso la definisce, ma un’età consapevole in cui sai cosa vuoi e cosa non vuoi dalla vita, un’età in cui vivi il presente, proiettandoti verso il futuro. “La mia idea è sempre stata quella di raggiungere una Stella Michelin, ma ora voglio pensare al mio lavoro qui – continua lo chef – Antonio Del Curatolo, patron del ristorante, è una persona speciale, sua moglie Pasqua è una donna esigente e tra me e loro è subito nata un’ottima intesa, siamo tutti determinati e abbiamo una progettualità a lungo termine. Vivo con i piedi per terra, ma la vita è una e non ho paura di dire quello che penso, la Campania è la mia terra d’origine e la Puglia è sempre stata nel mio cuore, infatti, qui vorrei sposare nuovamente mia moglie con rito religioso”.

Chef Francesco Antonio Di Mauro

Chef Francesco Antonio Di Mauro è nato a Napoli, nel periodo in cui nella città partenopea Diego Armando Maradona era considerato un dio in terra, Francesco sognava di fare il calciatore, ma un problema riscontrato al ginocchio non gli avrebbe permesso di giocare ad alti livelli, così dice: “Ho avuto dalla cucina una vera e propria “chiamata”, Napoli è una città molto grande e da quartiere a quartiere lo stesso piatto cambia, in un rione la ricetta ha un ingrediente, nel rione vicino tutto cambia”. A Napoli ha frequentato la scuola alberghiera, fino a quando ha capito che era arrivato il momento di andare via. “L’ambiente in cui sono cresciuto non era fertile e non mi poteva dare la forza e l’ambizione che ho oggi”.

Gli anni della sua adolescenza sono stati contrassegnati da una forte rabbia interiore, che un professore dell’alberghiero ha notato e comprendendo bene il suo vero potenziale l’ha accompagnato nel percorso scolastico fino ad aprirgli le porte di importanti cucine. Quella rabbia è stata incanalata nella giusta direzione per trasformarsi nell’attuale determinazione, aspetto che lo contraddistingue.

Chef Di Mauro in Italia ha realizzato diversi stage in cucine molto conosciute dal Don Alfonso a Sant’Agata dei Golfi alla “Sirena” di Filicudi, ma non vuole marcare quest’aspetto, come se fare i nomi di chef blasonati con cui ha lavorato potesse apparire come una sua volontà di vanto, che non ama esibire perché a suo dire: “La cosa che più ha contrassegnato la mia vita è il giro del mondo che ho fatto. La Spagna mi ha dato tanto in termini di crescita umana e professionale, la consacrazione l’ho avuta lì”.

Quali sono i tratti distintivi della tua cucina?

È una cucina raffinata con tratti “strong”, marcati direi, ben ancorata alla tradizione, credo che l’alta cucina debba rispettare i piatti tradizionali, a maggio sarà presentato alle Lampare il mio menu e si noterà il cambiamento soprattutto nelle tecniche. Oggi sono un uomo che ama rigore e disciplina, la rabbia non mi appartiene più, in cucina voglio che le cose vadano in modo preciso. In Asia ho trovato il mio equilibrio, che metto nei miei piatti, ricercando in chi li assaggia l’effetto “wao”.

Qual è il piatto che meglio ti rappresenta?

Sicuramente il polpo alla brace, che viene glassato con una salsa Yakiniku a base di terra e mare che lo rende profondo come sapore e gli conferisce una vitalità in grado di esaltarlo, accompagnato da un latticello di burrata, in onore alla Puglia.

Secondo te il fine dining è in crisi?

Io direi ma qual è il vero fine dining? Credo che la cucina ultimamente stia subendo una sorta di strumentalizzazione, non è essa ad essere in crisi, ma il livello culturale di chi ci approccia, se abbiamo delle buone materie prime e dei bravissimi chef non può esserci crisi, evitiamo strumentalizzazioni, ci sono tanti ristoranti che cucinano bene e tanti che lo fanno male perchè spinti dal business.

Quali sono le tue aspettattive?

Ho sempre avuto molta fiducia in me stesso, conoscendo Antonio sono sicuro che nel suo ristorante posso realizzare cose con un approccio a lungo termine, ce la farò perché ho la testa dura. Il mare è il mio posto del cuore e lavorare alle Lampare è cucinare con una vista privilegiata verso l’infinito.

Prima dei 40 anni cosa sogni di realizzare?

A livello privato vorrei dedicare più tempo alle mie due figlie e a mia moglie, sono fortunato ad averle al mio fianco perché mi hanno sempre appoggiato. Per quanto riguarda l’aspetto professionale punto alla Stella, continuando ad essere la persona “affamata” che sono. Ogni traguardo deve essere un punto di partenza per andare oltre e un giorno vorrei essere anche un imprenditore di questo settore, con Antonio ci siamo compresi da subito e quello che ci aspetta sarà una sfida che darà soddisfazioni ad entrambi.

 

 

 

 

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