“Sà, oggi ho una bella gallinella locale da 2,6 Kg”. È ciò che mi ha detto Mimmo, il mio pescivendolo, qualche tempo fa, con un messaggio WhatsApp e, ovviamente, non si trattava del pennuto. Lì per lì mi sono chiesto se fosse impazzito, insomma 2,6 Kg mi sembravano proprio tanti. Ma poi mi sono detto che un’occasione del genere non mi sarebbe capitata tanto presto e, così, ho invitato tre cari amici per condividere questo bel pescione.
Una volta accettato il mio invito, ho chiamato Mimmo e gli ho detto di tenermela da parte che sarei passato dal mercato a prenderla. Lui mi aspettava con questa bella gallinella e, così, gli ho chiesto d pulirmela bene e di aprirla dall’alto in modo da creare una superficie larga da poter gratinare in forno con vari aromi e condimenti. Quando sul banco del mio fornitore di pesce trovo la gallinella, quella locale e non di provenienza estera, difficilmente me la lascio scappare, ma questa era proprio grossa e la sfida di cucinarla per gli amici ormai mi intrigava parecchio.
È un altro tra i miei pesci preferiti, per la bontà delle sue carni, magre e saporite e si presta a varie preparazioni, di solito in umido, un po’ come lo scorfano o la triglia, al cartoccio, ma così grande mi piace assai fatta al forno. A Bari la gallinella si chiama angiuìcchie, a Napoli cuoccio, nell’Emilia mazzola, in altre regioni prende il nome di cappone o capone (da non confondere con la lampuga che in Sicilia prende lo stesso nome).
Vive su fondali sabbiosi praticamente strisciando sul fondo, pertanto viene pescata principalmente con le reti a strascico e, ricordo nitidamente quando, giovane pescatore subacqueo, ne catturai una in acque basse, che mi colpi per l’eleganza della forma, con testa molto grande e corpo conico che si stringe fino alla pinna caudale, con pinne laterali molto grandi al punto di sembrare ali di colore blu.
Fu quella la mia prima cattura di una gallinella che, cotta al cartoccio con patate e pomodorini mi piacque molto, per le sue carni bianche e delicate dalle quali è facile ricavare dei filetti senza spine. Molto ridotto è l’apporto calorico, è ricca di Omega 3, proteine, minerali e vitamine. Tornando a quella condivisa con i miei amici, la preparazione, una volta ben pulita e aperta praticamente “a libro”, il resto è stato semplice.
Ho creato un letto di patate in una teglia oliata, l’ho adagiata e ho ricoperto le carni con pangrattato, pomodori a pezzi, aglio tritato, prezzemolo, fette di limone e olio extravergine, creando una sorta di vestito croccante. In forno statico a 200° gradi ci sono voluti una trentina di minuti di cottura, ma il risultato è stato davvero eccezionale, per la gioia dei miei commensali, tra i quali il mio incorruttibile amico nutrizionista.
Con una bella bottiglia di vino bianco e un dolcetto acquistato da uno dei migliori pasticcieri di Bari (e d’Italia) la serata, già bella per la compagnia, è stata anche di ottima cucina, rispettosa della salute, senza rimpiangere il gusto di pesci più nobili e blasonati, ad un prezzo che, se non ricordo male, è stato di circa 25 euro al chilo. A mio parere si tratta di uno di quei pesci che, quando si trovano in pescheria, non bisogna perderseli, soprattutto se provenienti da pesca locale.