Se si parla del training giovanile di Antonio Di Nunno è decisamente riduttivo usare la colorita espressione “fare la gavetta”. Non a caso a tredici anni aveva già le idee chiare a proposito del suo futuro, e alla fine di un’estate come tante ha avuto il coraggio di lasciare la sua Canosa per seguire una famiglia di suoi concittadini, che dopo le vacanze rientravano in Germania. Lì infatti si erano da tempo trasferiti e gestivano un ristorante, e Antonio con tenacia e lungimiranza ha saputo cogliere l’occasione per dare inizio a un percorso professionale che ormai ha raggiunto la durata di parecchi lustri. E che si è articolato attraverso tante differenti fasi, a partire dal rientro in Puglia e dalle immancabili stagioni sulla riviera romagnola. Per poi continuare con un altro espatrio, questa volta in direzione di Parigi, che ha concesso al giovane chef l’opportunità di ampliare notevolmente il proprio bagaglio di cultura gastronomica. Grazie a un duplice sforzo compiuto nella Ville Lumière, Antonio è riuscito a lavorare in una catena di locali italiani, e contemporaneamente a seguire corsi di cucina (compresa quella francese) e di pasticceria.
Si è in definitiva trattato di un’importante formazione tecnica, che tuttora sorregge il suo operato ai fornelli, e gli garantisce un perfetto controllo sugli ingredienti utilizzati. E che forse lo ha sostenuto nelle esperienze successive, fino ai primi anni del duemila, e al conseguente momento di svolta che si è concretizzato nell’atto di nascita della sua creatura, proprio a Canosa e con un nome davvero emblematico. Si chiama Locanda Di Nunno, e per Antonio è molto di più di un semplice locale. Piuttosto la si potrebbe definire un’attività totalizzante, nel senso che Antonio la svolge con uno spirito di assoluta identificazione, e con un impegno che si sviluppa lungo l’intero arco della giornata, tra la mattutina ricerca delle materie prime, e il quotidiano (tranne il lunedì) servizio del pranzo e della cena. Lo si può dunque andare a trovare nel suo regno, situato all’ingresso del paese, e dove gli ospiti comodamente seduti a tavola vengono accolti da un benvenuto semplice ma geniale: la focaccia di grano arso e i crostini di pane con il sale e l’olio novello.
Il promettente esordio lascia quindi spazio a un ventaglio di soluzioni (prevalentemente a base ittica) che si lasciano apprezzare per i piacevoli effetti cromatici delle presentazioni, per gli equilibrati accostamenti, e per i sapori sempre chiaramente riconoscibili. A riguardo convincono particolarmente i cremosi troccoli con crema di cime di rape e merluzzo, e cozze; nonché la delicata eleganza dei filetti di triglia con crema di zucca, mandorle e arancia. Ottimi tuttavia sono anche i prodotti che caratterizzano gli altri piatti. Che si tratti del polpo scottato con purea di fave, sponsali e polvere di peperoni cruschi; o dei gamberi, anch’essi scottati, con crumble di cipolla, polvere di olive e crema di peperoni alla menta. Quando il clima lo consente ci si accomoda nella veranda esterna che funge da dehors, e la selezione enologica comprende molte etichette (non solo) regionali.
