Il mondo del vino è in fermento e la Puglia non ne è certo esclusa. Per fare il punto su un mercato fatto di richieste sempre più complesse, abbiamo chiesto a Vito Palumbo (Amministratore delegato di Tormaresca) gli strumenti per affrontare un cambiamento epocale. Gli esempi aziendali vincenti e il saper andare oltre, guardare in faccia al buon vivere con vini anche complessi, secondo Palumbo è la ricetta giusta per affrontare il nuovo corso del prodotto dandogli la dignità che merita.
Partiamo da un dato di fatto: lo stile e l’imprinting che ha fatto grande la Puglia grazie alla tradizione toscana, ma senza snaturarsi. Ecco il miracolo di Tormaresca che va dalla Murgia al Salento. “L’azienda, così come le persone che ci lavorano, è 100% pugliese. Dalla famiglia Antinori abbiamo acquisito in primis una visione diversa della Puglia, in cui c’è spazio per grandi vini con uno stile moderno, in cui identità e eleganza possano coesistere, capaci di competere anche con territori generalmente considerati più “nobili”. Così Palumbo inizia il suo racconto che ci porta nell’universo in cui accontentarsi non è più contemplato.
Crederci significa anche anticipare le tendenze, e il brand Tormaresca su questo ha fatto scuola. Basta dire Calafuria per evocare un successo internazionale in rosa. Ma è tutto oro quello che luccica? Ci siamo già detti tutto sul rosato? Vito Palumbo a riguardo ha una posizione netta che pone la regione al centro di un lavoro che, probabilmente, non è stato ancor ben avviato da tutti i produttori, soprattutto di rosati. “C’è ancora grande spazio da guadagnare in Italia e all’estero per questa tipologia di vino, ma servono azioni omogenee perché le potenzialità sono enormi. Probabilmente, nonostante quanto ci raccontiamo, questo fenomeno è ancora (quasi) tutto legato al mercato pugliese. Per esplodere davvero fuori regione e consolidare un successo globale, sarà necessario superare il classico individualismo tutto meridionale che porta a politiche commerciali orientate al ribasso, a uno stile e una qualità non omogene, incapace di offrire un’immagine chiara e riconoscibile dei nostri vini.”

E se la Puglia non è solo rosati ma anche rossi, certamente bisogna stare attenti a ciò che il mercato nazionale e internazionale chiede dalla Puglia. In un momento di flessione per i vinoni Vito Palumbo commenta la situazione Primitivo come un problema che si può risolvere controllando, così da evitare il dramma delle cisterne piene e la perdita di identità che lo rende difficile da vendere. “Anche per il Primitivo, che effettivamente è una delle varietà italiane di maggior successo in Europa, abbiamo necessità di omogeneità a livello qualitativo e di disciplinare di produzione, consentendo ai vini di riflettere un’immagine identitaria di alta qualità e posizionamento, capace di affascinare e far innamorare i consumatori italiani e non. Dobbiamo essere realisti e consapevoli che parte di questo successo è determinato da vini con un costo e una qualità percepita non certo premium e che non contribuiscono all’affermazione del nostro territorio”.
Erano gli anni Ottanta quando a Minervino Murge la famiglia di Vito Palumbo si occupava della tenuta Bocca di Lupo. La famiglia Antinori, che sulla Puglia ci aveva già visto giusto, scelse di investire proprio qui, cambiando il corso della storia. Sebbene non sia il luogo in cui nasce il famosissimo Calafuria, il fenomeno Tormaresca ha coinvolto anche la tenuta murgiana dove si è investito sui rossi, sui grandi rossi, quelli che non conoscono tempo e, a quanto pare, neanche crisi.
“Bisogna sfatare il mito del consumatore stanco dei rossi tout court. Per i vini da volume questo è un fenomeno oggettivo e visibile. Il consumatore vuole freschezza e leggerezza, e forse il nostro Negroamaro può rispondere a questi bisogni. Personalmente ritengo che il Negroamaro possa rappresentare nel prossimo futuro quello che il Nerello Mascalese ha rappresentato per la Sicilia, grazie al suo stile elegante, fresco, caratterizzato dalla grande piacevolezza di beva”.
Quando si parla di vini importanti, dei grandi vini, sottolinea Palumbo – al consumatore interessa solo qualità, racconto, longevità e eleganza. Meno invece, la gradazione alcolica”.
Le tenute di Tormaresca in Puglia cristallizzano una certa visione della regione, ma anche del mangiare e bere made in Puglia. Quello in cui i vitigni autoctoni fanno la loro parte, ma ancora una volta, fa capolino la scelta di andare controcorrente e non puntare solo sull’autoctono local. È il caso del Nero di Troia, anche se qualcosa bolle in pentola. “Il Nero di Troia fa parte della nostra produzione e tradizione. Abbiamo deciso però, solo per ora, di non distribuirlo. Lo produciamo e ne imbottigliamo una parte in un vino, Ettore, venduto solo agli appassionati che vengono a trovarci in tenuta. Riteniamo che il Nero di Troia attuale, anche dal punto di vista agronomico, non rispecchi la sua identità storica. Inizieremo a distribuire Ettore quando il vino sarà in grado di rispettare ed essere coerente con la storia del Nero di Troia, uva nobile e antica. Al momento tutte le nostre energie si stanno focalizzando sull’Aglianico. L’uva è una nostra ossessione perché sfidante e al tempo stesso maestosa, capace di esprimere profondità e verticalità. Se poi impiantato sulle terre carsiche bianche e salate dell’alta Murgia ciò che ne deriva è sorprendente”.
E poi il futuro del vino. Tra crisi e i dealcolati che sono pronti ad entrare di diritto nel mondo vitivinicolo, c’è da preoccuparsi? Secondo Palumbo no, ma è necessario essere ragionevoli. “Il consumo del vino fa parte della nostra cultura da sempre. È necessario essere sereni, consumare responsabilmente il prodotto senza percepire il cambiamento come un pericolo. Non crediamo che questa categoria possa cannibalizzare il vino tradizionale. Credo invece, che i nolo (No- Low alcol) debbano essere considerati un’ulteriore freccia all’arco del vino italiano. Conta però, cercare di veicolare un messaggio chiaro che differenzi il prodotto tradizionale da quello dealcolato. Solo così il consumatore meno informato non potrà fare confusione”. E nel futuro ci sarà un no-alcol Tormaresca? A questa domanda Palumbo chiude così: “Non la vediamo come un’opzione per la nostra azienda e per la nostra produzione, ma per il vino italiano sì. È una fetta di mercato in forte crescita all’estero. Se non rispondiamo noi italiani a questa domanda lo faranno altri. È pur sempre una bevanda prodotta dall’uva e quindi può essere una strada verso cui dirottare eventuali sovrapproduzioni di vini comuni che stentano a trovare mercato”.