Amo fare la spesa al mercato. Quando ci vado mi piace quell’atmosfera un po’ “caciarona”, con i venditori che urlano per promuovere la loro merce e le particolari occasioni del momento, in particolare quando abbassano i prezzi per vendere gli ultimi pezzi. Mi diverte osservare la gente, perché al mercato incontri di tutto, dalla vecchietta con il carrellino di stoffa al professionista in giacca e cravatta, dalla signora imbellettata all’operaio in tuta da lavoro. Il mercato è per tutti, è democratico.
Vado sempre a quello di Santa Scolastica a Bari, dove ho alcuni venditori dai quali mi servo con una certa frequenza e che sono per me dei riferimenti sicuri, sperimentati in tanti anni. Ho Luca per la frutta, gli ortaggi, ma soprattutto per le rape e i pomodori, l’unico che ha prezzi da capogiro ma merce di altissimo livello, poi c’è Martino il re del baccalà, Francesco per le erbe spontanee, un altro di cui non ricordo il nome per i suoi meravigliosi carciofi, poi c’è il regno dei funghi e quello dove compro le arance da premuta. Insomma mi sono creato la mia “cricca” di pusher di fiducia. Amo anche girare e farmi guidare dall’esperienza e dall’istinto, a volte dalla simpatia, ma capita, ogni tanto, che qualcuno provi a fare il furbetto. Se me ne accorgo può stare certo che non mi vedrà mai più!
E poi c’è Mimmo, il mio fornitore di pesce fresco, ormai per me più amico che venditore, perché lo conosco da quando era un ragazzetto e aiutava papà Nicola, simpaticissimo, che da alcuni anni è in pensione. Mimmo ogni mattina, alle 6, mi manda il listino della sua merce e talvolta mi chiama al telefono, per dirmi che ha qualcosa di particolare. Lui sa bene che io amo i pesci meno usuali e, quando gli capitano, sa che io mi metto in macchina e vado a trovarlo. Gli avevo chiesto di procurarmi una lampuga, pesce che ho avuto modo di apprezzare per la prima volta tantissimi anni fa a Malta, dove è considerato piatto nazionale. Così, una mattina, mi telefona e mi dice di avere per me una lampuga di 3,8 kg, un po’ grandicella per le mie esigenze, però decido di andarla a prendere per farmi subito una bella fetta cucinata alla piastra e, magari, il resto lo avrei messo in abbattitore, in modo da usarla successivamente.
Casualmente, in quei giorni si trovava a Bari il mio amico Francesco Lampugnani, valente nutrizionista, con il quale ogni tanto ci si incontra per il piacere di condividere una cenetta povera di grassi e sempre attenta ai valori nutrizionali, ma senza tralasciare il gusto. Io provo ogni tanto a portarlo sulle “malestrade” delle fritture, dei panzerotti, dei salumi e delle carni rosse, ma lui mica si fa corrompere. Al massimo accetta, a fine cena, una scheggia di cioccolato fondente e mezzo centimetro di buon rhum, quindi la lampuga era perfetta da condividere con lui. Quindi lo chiamo e lui accetta volentieri il mio invito, facendomi al telefono la lezione sulle qualità organolettiche della lampuga: “Si tratta di un pesce magro, meno dell’1% di grassi, molto ricco di zinco e fosforo, oltre che di numerose vitamine del gruppo A, B, C, E, e molto poco calorico”.
Quindi approvato anche dal mio amico nutrizionista, quella sera lo cucinai molto semplicemente al cartoccio, con un filo d’olio extravergine di oliva, aglio, limone, olive leccine e origano, ma riuscii a corromperlo con un bicchiere di Bombino bianco fresco. Ma la lampuga può essere cucinata in tanti modi, basta sbizzarrirsi con la fantasia. Con la sua bella e grande sacca ovarica ho persino preparato una bottarga, tenendola sotto sale per un paio di giorni in frigorifero, in parte subito utilizzata a scaglie per condire delle penne con una crema di burro e acciughe, aromatizzata con aglio e origano.
I Maltesi, invece, che la chiamano lampuki, la preparano soprattutto in due modi: lampuki mixwi, cioè alla griglia, e torta tal lampuki, un tradizionale pizza rustica di pasta sfoglia riempita con la carne spinata di questo pesce, cavolfiori, spinaci, cipolla, aglio, pomodori, piselli e aromi vari, tipo menta, maggiorana e scorza di limone. Il pesce cosiddetto povero, come può essere la lampuga che, negli anni addietro, veniva addirittura ributtata in mare perché considerata di poco valore, dal punto di vista del gusto e – teniamone conto – anche del basso prezzo, riserva davvero delle ottime soddisfazioni in cucina.
Non mi stancherò mai di dirlo, vorrei trovarlo più spesso nei ristoranti al posto di quei grassi e scadenti salmoni di allevamento o di pesci molto più costosi. È necessario, però, imparare a conoscerli, per poterli apprezzare al meglio, cucinandoli nel modo più consono alla valorizzazione delle loro carni.