Il Mulino di Alcantara, il ristorante di Angelo D’Agostino incastonato nella piazza di Felline

Il cambiamento è sorprendente. In estate dà l’idea di essere un ristorante a cielo aperto, con i tanti tavolini del locale di cui ospita il dehors. In pieno inverno invece la piazzetta Caduti, situata nel centro del borgo di Felline, si trasforma come per incanto in un’oasi di pace e di silenzio. Quasi fosse uno scenario fittizio, costruito appositamente per una ripresa cinematografica; o immobile nel tempo, come il soggetto di un quadro d’epoca. Forse perché questa stessa piazzetta può vantare un passato importante, caratterizzato dalla spiritualità degli ordini religiosi e dalla dimensione artigianale degli antichi opifici.

Antonio D’Agostino

Qui un tempo avevano sede tanto il convento dei frati Alcantarini (una congregazione d’ispirazione francescana nata in Spagna nella prima metà del sedicesimo secolo), quanto lo storico mulino che ha evidentemente determinato la scelta del nome dell’attività di Antonio D’Agostino. Non a caso si chiama Il Mulino di Alcantara, e con legittimo orgoglio occupa proprio quei caldi e caratteristici ambienti di lavoro: tra salette che si aprono una dentro l’altra, volte basse e archi in pietra. All’interno si crea quindi un’atmosfera decisamente suggestiva, accogliente ed avvolgente, e tale da rappresentare un sicuro richiamo per la numerosa clientela, che da decenni continua a considerare Il Mulino un affidabile punto di riferimento e un indirizzo di culto. Che si tratti di turisti che ritornano ciclicamente, o di avventori abituali, tutti vengono attirati dal fascino dei luoghi, dalla tipicità della proposta gastronomica, e dal perfetto gioco di squadra dei padroni di casa. Operano infatti insieme ad Antonio le due figlie, Alessia e Paola, nonché ai fornelli la signora Daniela Greco. A supportare il quotidiano impegno  dello chef contribuiscono tuttavia anche altri fattori. A partire dalle importanti esperienze professionali in celebri cucine stellate e in Piemonte, fino al profondo legame con le radici, che per lui si concretizza nel recupero della tradizione ittica gallipolina.

Ne derivano preparazioni fondamentalmente lineari, pensate per non coprire, ma per rispettare ed esaltare i sapori autentici delle ottime materie prime del territorio. O meglio, della terra e del mare del Salento, che ora si incontrano e ora si separano, conservando comunque e sempre la loro identità. Ecco che la tartare di ricciola con cipolla in agrodolce si alterna al sashimi di tonno; e le fragranti polpette di polpo si alternano al pasticciotto salato con crema di carciofi e porri. Per poi passare a quelli che possono essere definiti cavalli di battaglia. Come la purea di fave e cicorie selvatiche con il pesce spatola in pastella; e i sontuosi spaghetti con filetti di triglia e scorfano, ventresca di ricciola e pomodorini arrostiti in acqua di vongole. Magari in alternativa ai classici tubetti alla cernia, al pesce spada alla gallipolina, e alla frittura di totanetti. Il tutto è accompagnato dagli squisiti taralli e dal pane di un panificio della zona, e si conclude con i dessert che provengono dal laboratorio di pasticceria di Antonio. Una speciale mansione meritano i deliziosi biscotti che vengono serviti con il caffè, creati dal maestro pasticciere Giovanni Venneri.

Fave e cicoria con pesce spatola

 

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