La storia della bombetta di Martina Franca raccontata da Tommaso Romanelli

“La bombetta di Martina Franca è nata qui – mi racconta fiero e sicuro Tommaso Romanelliesattamente in questi locali”.

Questa intervista si svolge, infatti, in via Valle d’Itria 8/12 a Martina Franca, proprio nella famosa macelleria Romanelli, dove ho incontrato Tommaso, che, negli anni ’80, aprì questa attività in società con Michele Lasorte.

E, infatti, le bombette, che molti considerano un pilastro della tradizione della carne cotta al fornello in Valle d’Itria, in realtà sono giovanissime e sono una geniale intuizione di Lasorte e di sua moglie Maria Giliberti, putignanese, che, insieme a Tommaso, le hanno provate e riprovate in vari modi, prima di trovare il perfetto equilibrio fra gli ingredienti. Io stesso, che negli anni precedenti frequentavo molto spesso la Valle d’Itria, posso testimoniare che negli anni ’70 le bombette non esistevano e le carni che venivano cotte al fornello erano le costatine di agnello, il capocollo e la pancetta di maiale, i fegatini e le salsicce, sia quelle sottili di vitello che quelle di maiale “a punta di coltello”.

Tommaso Romanelli con Sandro Romano

Martina Franca, con il suo enorme patrimonio culturale, è sempre stata, anche per dimensioni, la città più importante della Valle, mentre poco frequentate, all’epoca, erano Cisternino e Locorotondo, anch’esse cittadine stupende ma, all’epoca poco valorizzate. Oggi, invece, tutta la Valle d’Itria e i paesi che la compongono sono considerati con pieno merito tra i luoghi più belli e caratteristici d’Italia e, come spesso accade, il turismo ha avuto una grandissima spinta proprio dalla cucina e dai prodotti tipici della zona.

Soprattutto d’estate, sia Locorotondo che, ancor più, Cisternino, sono stracolmi di gente che si riversa nelle loro strade per assaporare i prodotti tipici del “fornello”, questa antica tecnica tutta pugliese che prevede la cottura su spiedi verticali, impedendo il ritorno di fiamma e ottenendo così una carne saporita e cotta uniformemente. Negli anni, poi, e con il grande successo di pubblico, si sono affiancate anche le bracerie e tanti sono i ristoranti che offrono la cucina tradizionale fatta anche di piatti come le orecchiette con le cime di rapa, le polpette di pane, le brasciole, le fave e cicorie e i classici panzerotti.

Eppure c’è stato chi, 3 anni fa – vedi tal Lorenzo Biagiarelli, pure supportato da qualche improvvisato, o meglio, improvvido “comunicatore di casa nostra” –  dopo aver visitato alcuni ristoranti della Valle d’Itria, e neppure tutti della zona, ha sentenziato che “si mangia mediamente male”, ignorando che per “media” si dovrebbe intendere il valore intermedio tra gli estremi di più valori considerati.

Quindi, se le attività ristorative della zona sono, diciamo 500  – voglio rimanere basso – come si fa a parlare di media avendone visitate soltanto qualcuna? Comunque, tralasciando tali manie di protagonismo, torniamo a parlare di bombette, perché è stata proprio questa geniale intuizione che, negli anni 81/82, si è presa la scena e ha tirato con forza il carro del successo gastronomico del territorio, insieme ad un prodotto, forse più di nicchia, che è il capocollo di Martina Franca.

“Io avevo la macelleria a Ceglie Messapica – prosegue Romanelli – dove ebbi due rapine e così acquistai questo locale a Martina Franca. Anche Michele ne aveva acquistato uno, ma dopo un po’ decidemmo di metterci in società e rimanemmo in questo. Qui, da sempre, prepariamo tutto ciò che è la tradizione, ma in quegli anni cominciammo anche a girare l’Italia partecipando a varie manifestazioni, così pensammo che bisognava inventarsi qualcosa di diverso. All’epoca, qualcuno richiedeva una specialità fatta dalle costate rigate di vitello o di scottona, chiuse intorno a un pezzo di pecorino, sale, pepe e prezzemolo, che si chiamano “Bombe” e pesano intorno ai 300 grammi. Ma la bomba non era tanto richiesta, costava un po’ e quindi era ad appannaggio solo di chi poteva spendere. 

Anche le Bombe si facevano alla brace, ma pensammo che, se avessimo fatto dei bocconcini, sarebbero state più comode da cuocere e anche più facili da mangiare. Così, mentre io ero in macelleria a vendere la carne, Michele e Maria facevano le prove e poi ci confrontavamo sui risultati. Provammo con il vitello, il vitellino, la punta di petto e il reale, ma poi trovammo la quadra con la pancetta di maiale chiusa intorno a un pezzetto di caciocavallo o di canestrato, con sale, pepe e prezzemolo.  Fu subito un grande successo e poi, su richiesta di qualcuno che le preferiva meno grasse, sostituimmo la pancetta con il capocollo, sempre di maiale. Anche il prezzo, quindi, era più contenuto rispetto alla Bomba. La vera bombetta, inoltre, deve essere molto piccola, un bocconcino di 22/23 grammi che si deve sciogliere in bocca, già di 25 è troppo grande. Infatti, all’inizio il nome era proprio bocconcino, in seguito è diventato bombetta”.

 Quindi la bombetta può considerarsi tradizionale sia se è fatta con la pancetta che con il capocollo, sia con il caciocavallo che con il canestrato?

 Certamente, purché i due formaggi siano giovani, dal gusto delicato e non forte.

E cosa ne pensi delle varianti che, nel tempo, sono state create?

Va bene tutto, purché si rispetti la tradizione. Il successo della bombetta è dovuto al fatto che è diventato un cibo di strada, noi fin dai primi anni la portammo in giro grazie anche a Slow Food, che la presentò come cibo tipico della Valle d’Itria e il gradimento fu enorme anche fuori dai confini territoriali. Si mangia caldo nei cartocci, e se qualcuno ha pensato di fare qualche piccola variante, tipo quelle impanate o con i pistacchi o altro ancora, ben venga. Purché non si stravolga l’idea che è alla base di questa intuizione.

 Ma dimmi,  trovi che la macelleria sia cambiata rispetto a tanti anni fa?

 Certamente, una volta non si buttava proprio nulla, persino dal polmone di vitello si ottenevano le “cingomme”. Con le ossa, con i piedi di agnello e di maiale, con la sua testa, con la trachea di bovini e ovini si faceva il brodo. Gli operai passavano la mattina presto, si riempivano il gamellino di alluminio e poi, nell’intervallo del pranzo, se lo riscaldavano e lo mangiavano bagnandoci il pane duro, proprio quello secco.  A Martina c’era una signora che faceva il brodo sui carboni in piazza alle tre e mezza/quattro di mattina facendosi pagare uno due soldi.

 Bei ricordi, e del capocollo che mi racconti?

A Martina Franca sono sempre venuti da tutta la Puglia a comprare i nostri salumi nobili, oltre al capocollo anche soppressate, pancette tese e arrotolate, guanciali. Si macellavano 3 o 4 maiali a settimana e, dopo aver venduto il fresco, poiché non si buttava via niente, il lunedì si facevano i salumi con ciò che era avanzato. Quando abitavo in centro, mi ricordo che c’erano due donne, soprannominate “i belle soure”, cioè le belle sorelle, che facevano i salumi e, davanti alla loro casa, c’era sempre un inebriante profumo di affumicato. Come loro c’erano anche altre 5 o 6 famiglie discendenti da macellai che li preparavano.

L’incontro tra me e Tommaso Romanelli è avvenuto in occasione della prima edizione della Festa della Bombetta, tenutasi a Martina Franca dall’11 al 13 ottobre scorso e,  durante la tavola rotonda a cui sono stato invitato, ho avuto anch’io modo di ricordare gli anni in cui la bombetta non era conosciuta e il turismo non era ai livelli di oggi. Inoltre, i rappresentanti istituzionali dei comuni di Martina Franca e Cisternino, insieme all’assessore regionale all’agricoltura Donato Pentassuglia, hanno ricordato la figura di Michele Lasorte e hanno premiato sua moglie Maria Giliberti quale inventrice di questo meraviglioso gioiello della nostra terra.

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