Cingùmme martinesi, quando il quinto quarto fa storia

La città di Martina Franca, in Valle d’Itria, è conosciuta per il suo patrimonio culturale e artistico di altissimo livello, ma anche per i suoi gioielli gastronomici, come le bombette e i bocconotti. Nell’edizione 2023 di “Sindaci ai fornelli” ne parlavo con il sindaco Gianfranco Palmisano, che, in quell’occasione, mi invitò a passare una giornata con lui. Qualche giorno fa, ho avuto modo di recarmi a Martina per la Festa della bombetta e, così, ho potuto approfondire alcuni aspetti sulla tradizione della cottura “al fornello”.

Questa particolare tecnica è fatta con spiedi messi verticalmente in un forno, in modo che i grassi scendano, condiscano la carne che rimane morbida e succosa senza bruciarsi, ed è ancora usata in Valle d’Itria e nella Murgia in genere. Inoltre, questo tipo di cottura, rispetto al classico barbecue, ha il merito di non fare assorbire alla carne i fumi del grasso che, bruciando sui carboni ardenti, ritorna su dandole un sentore di affumicato. I Martinesi ne sono maestri e, alcuni anni fa, ebbi modo di farlo conoscere anche in Toscana, tradizionalmente patria di carne alla brace, portando con me, in una manifestazione dell’Accademia Italiana Gastronomia Storica, un macellaio di lunga esperienza.

In questi spiedi vengono cotte salsicce, fette di capocollo, bombette, costatine di agnello e gnummareddi, in zona chiamati più comunemente fegatini, cioè pezzi di fegato, polmone e cuore di agnello, avvolti in budello naturale. Ma l’antica arte dell’uso del “quinto quarto” a Martina Franca ha un’altra specialità che è possibile gustare soltanto da quelle parti: le “cingùmme”. Tale termine si legge “cingùm”, poiché nelle scritture dialettali pugliesi, codificate dallo storico e demologo barese Alfredo Giovine, la “e” finale si scrive ma non si legge, è muta. Deriva dall’inglese chewing gum, fra la gente del posto trasformato in cingomme, termine largamente usato nell’abituale dialogo, soprattutto fra ragazzi.

Le cingomme martinesi, invece, sono una specialità – invero non facile da trovare, soprattutto se in macelleria non le prenotate per tempo – che nasce dal recupero del polmone bovino, pezzo del quinto quarto che i macellai non riuscivano a vendere.

Si tratta di un’antica tradizione –racconta Tommaso Romanelli, per tutti Nino, titolare della storica omonima macelleria – il polmone si faceva a pezzi molto piccoli che si avvolgevano nella rete e nel budello di agnello, in modo da ingrassare e inumidire quella carne che, altrimenti sarebbe risultata stopposa”.

Infatti le dimensioni sono più o meno la metà dei fegatini, circa 4 cm, e dopo la cottura si riducono ulteriormente a piccoli bocconcini.

“Chi ne aveva fatto un’arte a Martina Franca – prosegue il suo racconto Romanelli – erano i fratelli Vito e Franco Serio, soprannominati “i Salvasodd”, titolari di un antico forno con oltre 80 anni di attività, che li preparavano e li vendevano in spiedi da 10 pezzi a 100 lire, oppure da 20 a 200 lire. I clienti li prenotavano, Salvasodd li preparava, li contrassegnava con un foglio recante il nome della persona, e all’orario stabilito, li cuoceva in modo che si potessero gustare caldi. Venivano serviti, quindi, direttamente sulla cartapaglia, quella gialla, appoggiata su di un tavolo. I commensali, che si portavano dietro le bevande di accompagnamento, le gustavano calde e fragranti rigorosamente con le mani, come fossero caramelle, ognuna in un sol boccone”.

La caratteristica delle cingomme é proprio quella di richiedere una lunga masticazione a causa della loro consistenza – da qui il nome – simile a quella delle gomme da masticare. Così, in modo informalmente conviviale, con pochi denari, tutti i commensali mangiavano e bevevano su questo tavolaccio ricoperto di carta gialla.

Ma cosa significa Salvasodd?– chiedo a Nino Romanelli.

Sinceramente non ne conosco il significato – risponde – Salvasodd (che si pronuncia con la “o” chiusa tipica del dialetto martinese, una specie di “u”) era il soprannome famigliare, ma non so proprio dirti il perché”.

Personalmente sono andato ad assaggiare le cingomme, insieme a Romanelli, nella braceria Lorma, sulla strada che da Martina Franca porta a Cisternino, dove il titolare Martino Fumarola me le ha preparate apposta per farmele assaggiare. Così, io e Nino, insieme ad altre cosette come il brasato di cinghiale al vino, le animelle, la trippa al sugo e un salame spalmabile di maiale messo su dei golosissimi tocchetti di pane fritto, ci siamo divisi un bel cartoccio di cingomme, ovviamente mangiandole con le mani, accompagnate da un bel bicchiere di rosso corposo. Sempre bello mangiare e chiacchierare con gli amici, dimenticandosi, ogni tanto, di bilancia, colesterolo e trigliceridi.

 

 

 

 

 

 

 

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