Forse è difficile da immaginare, eppure si direbbe che sia una realtà: tra la pratica forense e il mondo della ristorazione esiste un singolare e sotterraneo legame. Sempre più spesso, infatti, ci capita di scoprire che molti professionisti del settore hanno gettato la toga alle ortiche prima di intraprendere la loro definitiva attività. È anche il caso di un grande chef barese, Antonio Scalera, che ha deciso di mettere nel cassetto la laurea in giurisprudenza per fare importanti esperienze in molte prestigiose cucine, tra la Puglia e l’Italia, tra Roma e Madrid. Almeno fino al 2010, quando ha inaugurato il suo regno privato.
Si chiama La Bul, ed è un raffinato gioiellino incastonato tra gli antichi palazzi di una bella zona di Bari, con il mare, il Castello Svevo e la città vecchia a poche centinaia di metri. E in una stradina silenziosa e appartata si affaccia il bel portoncino d’ingresso, massiccio ma invitante, forse un presagio dell’atmosfera che regna all’interno. Un’atmosfera caratterizzata da un’eleganza discreta e non appariscente, i cui piccoli tocchi si materializzano nelle sedie (diverse una dall’altra) vintage, nei pavimenti d’epoca, nei quadri alle pareti. Con il valore aggiunto dell’impeccabile correttezza dell’accoglienza, e del garbo estivo del cortiletto sul retro che funge da dehors.
Il tutto, come per incanto, si riflette nei piatti di Antonio, grazie alla sua capacità di entrare in empatia con gli ingredienti, nel senso che riesce ad intuirne le potenzialità gastronomiche ancora prima di lavorarli. La felice fusione tra la conoscenza delle tecniche e l’istinto personale favorisce quindi la nascita di soluzioni che cambiano quasi quotidianamente, in base alla reperibilità stagionale delle materie prime, ma che sono comunque il frutto della passione culinaria dello chef. A partire dal (vero) gazpacho che viene servito nel bicchierino di vetro come benvenuto, insieme agli ottimi prodotti da forno; per poi procedere con il delizioso equilibrio della capasanta con il tartufo nero e la sua emulsione. Ma è soltanto l’inizio di un seducente percorso caratterizzato da diverse tipologie di operazioni, che vanno dagli intelligenti giochi di contrasto, fino all’azzardo calcolato di alcuni accostamenti, passando attraverso la rielaborazione dell’intramontabile classicità.
Lo dimostrano le proposte presenti in carta, che possono concretizzarsi negli intensi sentori del cefalo con scalogno affumicato e salsa all’olio di sesamo, tuttavia sdrammatizzati dell’inserimento di un agrume come il cedro. Oppure in quelli altrettanto incisivi delle animelle, che trovano una loro convincente armonia negli abbinamenti vegetali con la riduzione di moscato di Trani, l’emulsione di tartufo e il cipollotto grigliato. Mentre il vigore dell’anguilla affumicata viene attenuato dal peperone dolce e dal vincotto di fichi, e si risolve nell’insolito incontro con il foie gras. Magari prima della perfetta esecuzione degli indimenticabili cappellacci ai funghi porcini, conditi con un meraviglioso brodo degli stessi porcini e con il formaggio di grotta (garganico). Il personale è anche in grado di fornire opportuni suggerimenti enologici; e andando via si desidera tornare al più presto.