Pugliese classe 1991, Michele Talarico è lo chef di Tea del Kosmo, ristorantino d’atmosfera livignasco fedele alle linee guida di Norbert Niederkofler, chef consulente che ci mette letteralmente la faccia in frequenti cene a quattro mani. “Cook the mountain”, quindi, all’insegna del rispetto della natura, dell’approvvigionamento in loco, con i pro e i contro del caso, della sostenibilità e dello scarto zero. Il mentore di Brunico, del resto, si sente ormai di casa in un concetto di post-cucina, dove l’Atelier Moessmer è più think tank che ristorante, oltre che luogo di formazione gastronomica e filosofica per i giovani discepoli. Qui a Livigno sono 1816 metri sul livello del mare, anzi della Puglia, quota che rende particolarmente difficile il reperimento di materie prime vegetali. “Una sfida che ci appassiona”. E può perfino accadere di ritrovare qualche miraggio mediterraneo fra le gole alpine.
Michele, raccontaci la tua infanzia pugliese.
Sono nato a Corato e praticamente da subito ho desiderato frequentare l’alberghiero, anche se a casa non volevano, perché dovevo prendere l’autobus per Molfetta. Mia mamma Carmela e le mie nonne Angela e Rosa mi avevano stregato con i profumi di casa. Ricordo in particolare patate e cipolla nel forno a legna, la pasta al forno della domenica, la parmigiana, nella cui preparazione mi divertivo a dare una mano. Mentre studiavo ho fatto qualche locale basico in Puglia, poi mi sono spostato subito in Australia e in un ristorante francese a Londra, ho compiuto una breve esperienza in Spagna e sono ritornato in Australia. Mi sono fermato un po’ in Puglia e quattro anni fa sono arrivato al St. Hubertus. Mi affascinava questa tipologia di cucina, perché mio padre in campagna produceva tutto ciò che mangiavamo, quindi per me erano concetti familiari. Quando Norbert mi ha chiamato, ero entusiasta e ho lasciato tutto. Ho fatto due stagioni a San Cassiano e sono passato a Livigno. All’inizio c’era un altro chef, che però è partito. Io ero già in brigata e sono stato scelto.
Le Alpi non sono state uno choc culturale per te che sei figlio del Mediterraneo?
Arrivando in montagna, ho scoperto quanto la amo. Ormai scendo solo per trovare i miei genitori. Purtroppo la Puglia non viene valorizzata, è difficile crescere, ora qualcosa si sta muovendo, ma la ristorazione gastronomica continua a faticare, nonostante non manchi proprio nulla.
La filosofia “cook the mountain” è focalizzata sulla materia prima alpina. Sei riuscito a portare con te qualche suggestione pugliese?
Ho già parlato di patate e cipolla, ingredienti che ci sono anche qui, tanto che ne ho tratto una ricetta inserita nel menu degustazione. Dalla Puglia ho portato soprattutto le tecniche, che applico a prodotti di montagna. Per esempio nel piatto di pecora la ricotta fermentata, che però deriva da un latticino locale. Mi piace andare in macelleria o nei caseifici a studiare il prodotto, così ho imparato a produrre la ricotta forte e ho voluto ripescarla. A livello gustativo, il timbro amaro è comune alla Puglia e alle Alpi. Noi fin da piccoli veniamo svezzati ed è un gusto che mi piace molto, anche se in un percorso va spezzato. L’ho ritrovato ben nitido in montagna, soprattutto nelle erbe e in alcuni vegetali, come il radicchio e la cicoria selvatica.