L’imprenditore agricolo, creatore del marchio D’Intrò, spiega perché cambiare la visione su questo prodotto può far bene a tutta la comunità
«Tutto è politica, anche l’olio». Esordisce così Pasquale D’Introno, creatore del marchio d’olio extravergine d’oliva D’Intrò e proprietario dell’Azienda Agricola San Pietro “Piccolo”. Tuttavia, l’espressione che pronuncia all’inizio dell’intervista potrebbe suscitare altri ricordi, distanti dall’agricoltura. Infatti, il commercialista che ama la terra è stato anche a capo di una giunta comunale sfortunata: eletto nel 2019, dopo soli 88 giorni fu costretto a lasciare il municipio di Corato. Storia antica, ormai, ma che ha lasciato una consapevolezza. Che tutto è politica, appunto. Ma prima di spiegare cosa c’è dietro questa affermazione, è necessario fare un passo indietro e spiegare chi è Pasquale D’Introno e cosa c’entra oggi la sua vita con l’olio.
Creatore di connessioni
Classe 1970, nato e cresciuto a Corato (Ba), Pasquale D’Introno non è un figlio della terra. Infatti, nella sua famiglia ci sono solo guardiani privati, addetti alla manutenzione delle strade con nessun possedimento da tramandargli. È un investimento che lui fa da zero, a partire dal 2007. Ma per chiunque sia nato in questa città il primo ricordo dell’olio è come un gene del Dna che si acquisisce fuori dal ventre materno, in frantoio. Quello che D’Introno ricorda era in piazza Ospedale Vecchio, a due passi da casa sua, in cui si molivano le olive con i vecchi fiscoli.
D’Introno si diploma all’Istituto Tecnico Commerciale “Padre A.M.Tannoia” come ragioniere. Poi si laurea in Economia e Commercio all’Università “Aldo Moro” di Bari. Si abilita come dottore commercialista per non fare mai, nemmeno un giorno, contabilità. «Ho sempre lavorato in azienda, iniziando con Franco Cannillo subito dopo il militare: per lui mi sono occupato di personale e dello sviluppo della rete di vendita diretta». D’Introno sembra avere una visione sinergica capace di unire le persone come le caselle di un cruciverba, creando ricadute positive su aziende e territorio. Ad un certo punto, insieme a sua moglie, decide di aprire uno studio di consulenza del lavoro. Tuttavia, il richiamo della terra non risparmia nessuno, nemmeno chi non si è mai sporcato le mani.
Diventa il direttore di un grande stabilimento agricolo in provincia di Foggia e poi riveste il ruolo di presidente della cantina sociale Terra Maiorum di Corato per sei anni. Subito dopo si apre la sfortunata parentesi politica. Pur votato a furor di popolo durante le primarie e le votazioni amministrative, il suo mandato da sindaco dura solo tre mesi. Ma qualcosa stava per cambiare.
Inseguendo un sogno non suo
Durante gli anni da direttore dello stabilimento di Foggia, D’Introno decide di acquistare dei terreni per assecondare il desiderio del padre Domenico, desideroso di trascorrere il suo tempo in campagna. Grazie a dei risparmi e alle amicizie nella confraternita del Santissimo, D’Introno trova il terreno giusto e pensa che in fondo un investimento in agricoltura possa sempre tornare utile. La bellezza del terreno di San Pietro “Piccolo” – tre ettari coltivati con vecchie vigne di Sangiovese e Aleatico – lo convince a fermarsi e a dire “sì” a quella impensata chiamata. Nel 2007 lavora il primo Sangiovese, realizzando il Vino del Direttore, che regala agli amici. Ma, abituato a creare nuove geometrie con persone e progetti, D’Introno inizia lo svellimento per diradare le piante, aumentare la qualità e diversificare l’impianto con delle barbatelle di Moscato Reale.
Ma da uomo di numeri, osserva che quelli dell’azienda agricola sembrano non tornare mai. «Insieme al mio board, cioè la mia famiglia, decidiamo di cambiare rotta, creando il primo progetto aziendale attorno alla produzione olio extra vergine d’oliva. Ormai avevamo sette ettari di terra: qualcosa doveva cambiare». Fa un investimento sull’irrigazione, «perché venti giorni di siccità possono anche cancellare il lavoro di un anno intero». Si inizia a potare seguendo lo schema policonico e mettendo in pratica tecniche di coltivazione che trascurano le alte rese per restituire maggiore qualità. «Per fare questo ho scelto di “coltivare” menti contadine con una visione, coinvolgendo le mie squadre guidate da Filippo Arbore in ogni passaggio della coltivazione di vigne e ulivi. Perché San Pietro Piccolo è fatto prima di tutto dalle persone».
Nel 2018 inizia lo studio dell’idea di olio da raccontare con il marchio D’Intrò. Grazie alla collaborazione con il frantoio di Angelo Petrizzelli e il confronto costruttivo e anche competitivo con altri brand del territorio, l’azienda agricola crea il suo olio evo da monocultivar Coratina. Se ne propongono la versione San Pietro “Piccolo” e il Grand Cru “Versante”, oltre ai due orcetti: il Tunn Tunn e Jara. Proposto anche in versione bag in box, l’olio D’Intrò ha dato il via anche a un percorso di internazionalizzazione dell’azienda, che si nutre anche di eno- e oleoturismo.
Il credo di Pasquale D’Introno
Il lavoro in campo ha dato a Pasquale D’Introno l’opportunità di riflettere sul valore di quello che un’azienda agricola può fare.
«Quando si coinvolgono altre persone per un fine che va oltre quelle che sono le tue esigenze individuali, si va a intaccare un interesse collettivo. E questo che rende tutto, anche fare olio, politico. Credo che in un’economia come la nostra, che muove tanto a livello regionale e nazionale, il settore oleario debba esser riqualificato e rimodellato su nuove esigenze di consumo, per dare luce a quella che è la nostra identità: siamo produttori di olio. Il nostro prodotto è spesso disprezzato ma, di fatto, va ad aumentare il valore degli oli che va a tagliare. Per decenni i contadini sono stati relegati in fondo alla scala sociale. Invece sono i nostri produttori di cibo, anelli fondamentali di una catena oggi virtuosa».
«Nel mio piccolo, con la mia azienda, promuovendo un prodotto che racconta le caratteristiche di uno specifico terreno, che risente dei profumi delle erbe di quella zona e dei cicli di lavoro, io promuovo la mia azienda ma do anche un’immagine di un’area geografica e culturale, divenendo un ambasciatore del territorio. Sono convinto che per valorizzare il prodotto sia necessario restituire anche il senso della comunità, della gente che è venuta in campagna con te alle cinque di mattina. Devi raccontare i fattori che fanno la differenza, compreso l’aspetto tecnico e tecnologico della frangitura. Da un paio d’anni i frantoi stanno cambiando pelle e anche quelli più grandi hanno capito che creare delle nicchie di qualità nei loro circuiti può fare bene al business. Il risultato è la ricerca di rese bassissime, profumi importanti, colori interessanti: tutti fattori che danno all’olio un’identità precisa. Poi, in tutte le fasce di mercato, quando si parla di Coratina bisogna associare sempre l’amaro e il piccante, anticipatori dell’alto valore nutraceutico di questo alimento».
Il futuro dell’olio
Sul futuro dell’olio c’è ancora tanto da fare. Secondo D’Introno «sarà necessario dare un canone al nostro olio perché cultivar Coratina significa tutto e niente, proprio come Castel del Monte Doc: ci vuole un disciplinare di produzione, una commissione tecnica che analizzi e assaggi l’olio, che valuti il ritorno d’immagine, che conosca bene il territorio. Inoltre, bisogna lavorare per divulgare un concetto diverso di olio, che lo valorizzi dal punto di vista nutraceutico. Infine, va lanciata una sfida al mondo agricolo, trasformando gli impianti alla luce del target da raggiungere e integrando menti e braccia, con uomini in campo e fuori capaci di fare la differenza. Insomma, deve cambiare la consapevolezza del lavoro in agricoltura».