Felice Lo Basso è un habitué delle stelle: quella che ha appena conquistato in Franciacorta è l’ultima di una lunga serie. Sul suo curriculum sono cinque ristoranti da chef e altrettanti macaron: nel 2011 in Alto Adige, nel 2014 a Milano da Unico, nel 2016 in Piazza Duomo, nel 2019 a Trani e nel 2021 al Felix Lo Basso Home Restaurant, sempre a Milano. Si tratta di un locale dal format originale, che si ispira al Nord Europa e all’Oriente: in pratica c’è solo un bancone, lungo il quale siedono 12 commensali, che assistono alla performance dal vivo dello chef, coadiuvato da 4 cuochi. Ed è un unico menu degustazione, come in una casa, senza variazioni, con lo chef che fa la spesa di mattina e i piatti che cambiano vorticosamente. “Ma la cucina è sempre rimasta la stessa, con tantissima Puglia”, dice.
Quale Puglia esattamente?
Io sono originario di Molfetta, quindi sono cresciuto vicino al mare. A casa mia i frutti di mare erano in tavola ogni giorno, poi tanti legumi e tantissime verdure. Mia mamma Rosa era bravissima, la nonna Marianna ancora di più. Da tre stelle Michelin. A mamma ho dedicato anche uno dei miei signature, la Parmigiana in un risotto, ispirato a quella che faceva lei. Poi eccelleva nei peperoni ripieni, nel calzone pugliese col merluzzo e gli sponzali, nella tiella riso patate e cozze; mentre la nonna era insuperabile per fave e cicoria, pignata, orecchiette con le cime di rapa e panzerotti con ricotta forte o Mortadella, che da noi si usa tantissimo. La cosa più bella era quando ci riunivamo tutti, perché erano quattro fratelli e due sorelle, con tantissimi nipoti, quindi alla fine si contavano una ventina di persone. Ma per mamma era una passeggiata, mentre ci sono chef che andrebbero nel panico. Si cominciava con i frutti di mare crudi sul tavolo, ricci, cozze pelose, cozze nere, cannolicchi, limoni di mare; poi piatti più corposi, paste e legumi, e la frutta secca alla fine, lupini, noci, nocciole, mandorle tostate, fichi con le mandorle. Per dolci paste di mandorle, cartellate, calzoncicchi.
Per qualche anno con tuo fratello Antonio hai mandato avanti anche un ristorante stellato a Trani, Memorie.
La cucina che facevo in Puglia non è così diversa da quella attuale, anche se il mio braccio destro, Dario Fisichella, è siciliano. Ho sempre proposto moltissimo pesce, legumi, ortaggi pugliesi. Sapori di mare e di terra che mi piace mixare con ricordi e influenze disparate. Poi ho sempre usato l’olio pugliese, la farina di grano arso, semola di qualità, mozzarelle e ricotte nostrane, adesso anche la carne di asino pugliese. E poi i taralli, i cardoncelli e i pomodori sott’olio, le fave secche… Perché anche noi abbiamo le nostre conserve sott’olio o sotto sale, il classico barattolo della nonna; oltre alla ricotta forte e alle olive alla calce. In un piatto la prima cosa che cerco è il gusto, anche se tengo molto all’estetica. Anzi la cosa più difficile è conciliare questi due aspetti. Ora mi sto concentrando su singoli prodotti, vedi il risotto alla canocchia, dove c’è solo il crostaceo. Grazie a questo format riesco a servire piatti che altrimenti faticherei a piazzare, perché è difficile vendere uno spaghetto al pomodoro o un piatto vegetariano in uno stellato. Invece così posso inserire zuppe e creme, non la solita sfilza di antipasti.
E a casa?
In casa non mangio quasi mai, perché ho solo un giorno libero e mi piace andare al ristorante, magari di cucina orientale. In generale non deve mai mancare la verdura, anche una buona zuppa alla scarola è qualcosa che ormai si fatica a trovare.
Quando scendi in Puglia, vai fuori?
Mi piace mangiare soprattutto da Tuccino o da un amico di Molfetta per i frutti di mare, mentre pratico poco il fine dining. Per il vino apprezzo soprattutto Gianfranco Fino, un amico di cui ho in carta tutte le etichette. Ma da bianchista resto più legato allo Champagne e all’Alto Adige.
Che piatto hai scelto per noi?
Per me è difficile pensare a qualcosa di più pugliese del riccio, che mi piace mangiare crudo col pane di semola e basta. Ha ispirato un piatto nato per gioco un paio di anni fa e diventato il signature del ristorante, parte fissa del menu. Alcuni amici continuavano a spedirmi le foto dei ricci per farmi disperare, così un giorno ho creato un simulacro: ci sono cinque ricci frullati nella forma di una sfera, tipo mousse, che nappo di gel al nero di seppia, decoro con grissini sottili al nero, per simulare gli aculei, e una specie di granita di alghe azotate. Quando il cliente la spacca, è come mangiare un riccio con tutta la polpa: un tuffo nel mare. In abbinamento ci vedo un Tormaresca o un buon rosé, ma la sua morte è uno Champagne, per esempio quello della Maison Penet, di cui sono ambasciatore.
RICCIO DI MARE
Ingredienti per 4 persone:
Per la polpa:
80 g polpa di riccio di mare
15 g olio extravergine di oliva
5 g sale
125 g panna
6 g colla di pesce
Per gli aghi:
60 g farina 0
20 g nero di seppia
5 g sale
Per la copertura:
100 g fumetto di pesce
20 g acqua di mare
40 g nero di seppia
10 g Gellan
Procedimento:
Per la polpa:
Frullare tutti gli ingredienti con l’aiuto di un Minipimer, dopodiché incorporare la panna e mettere l’impasto nello stampo. Congelare il tutto a -20 °C.
Per gli aghi:
Impastare tutti gli ingredienti e formare dei grissini molto sottili; infornarli per 3 minuti a 160 °C.
Per la copertura:
Fare bollire tutti gli ingredienti sul fuoco, dopodiché lasciar raffreddare fino a 60 °C.
Finitura del piatto:
Inserire la polpa congelata di ricci in uno stuzzicadenti, nappare nella copertura a 60 °C e lasciare riposare per 2 ore. Completare con gli aghi tutto intorno, ricostruendo un riccio.