Cristina Mercuri: “Il consumatore non vuole bere vini alcolici e la Puglia deve puntare sugli spumanti”

Non è da tutti riuscire a inseguire le proprie aspirazioni, senza reprimerle, dandole voce per renderle concrete e realizzare quello che realmente si vuole. Coraggio, tenacia e un pizzico di buona sorte determinano per Cristina Mercuri un cambio di strada repentino che dalla giurisprudenza la porta a sfiorare, solo per ora, il riconoscimento più alto per chi lavora nel mondo del vino: il Master of Wine. Questa qualifica è generalmente considerata nell’industria del vino come uno dei più alti standard di conoscenza professionale, viene rilasciata dall’Institute of Masters of Wine nel Regno Unito. Abbiamo incontrato al Vinitaly, durante un’interessante masterclass su un vino toscano, Cristina Mercuri con lei abbiamo affrontato il tema legato al calo dei consumi del vino.

“Il calo dei consumi è una questione globale che non coinvolge solo l’Italia soprattutto per quanto riguarda i vini rossi. Se analizziamo il report dell’Oiv, Organizzazione internazionale della vigna e del Vino [n.d.r] si nota che i bianchi soprattutto le bollicine sono in leggera crescita così come anche il consumo dei vini rosati. Interpretando questi dati si evidenzia che il consumatore globalmente consuma meno, se lo rapportiamo all’inflazione generalizzata, alle crisi energetiche e alle guerre, il vino non essendo un bene primario è il primo costo che viene tagliato.

Non è solo questa la questione, credo che il consumatore ci stia dando delle risposte molto chiare perché ci sta dicendo che non vuole più bere vini tannici, con un grado alcolico abbastanza alto, vini dai colori scuri, abbondanti, generosi e ricchi di legno, come erano le richieste dei consumatori negli anni ’90. Oggi ci si orienta verso vini più leggeri, più slanciati e meno alcolici. Quindi secondo me le aziende dovrebbero interpretare questi bisogni in vigna, con una gestione della chioma diversa che possa limitare l’accumulo degli zuccheri e quindi l’alcol, possono sperimentare stili diversi, studiando uno stile di rosato fatto bene perché in Italia c’è troppa varietà e spesso non si riesce a raggiungere gli standard qualitativi richiesti per un vino rosato, che può durare ed evolversi in bottiglia e magari valutare alcune iniziative come produrre vini a un valore alcolico più basso. Oggi i giovani stanno bevendo vini dealcolati, se si riesce ad agganciare quei consumatori e portarli in azienda, col tempo possiamo educarli a bere vini con contenuti alcolici, aprire la mente in vigna e in cantina può aiutare a salvare la produzione del vino.”

I vini dealcolati rappresentano un’opportunità che deve essere regolamentata, visto che in Italia non è possibile produrli. Paolo Castelletti, segretario generale Unione Italiana Vini (Uiv) ha aperto i lavori della tavola rotonda Dealcolati & Co – Le nuove frontiere del vino, realizzata in collaborazione con Vinitaly.

“In Italia il 36% dei consumatori è interessato a consumare bevande dealcolate; negli Stati Uniti, incubatore di tendenze specie tra i giovani, il mercato vale già un miliardo di dollari. Ma l’Italia in questo caso gioca un ruolo residuale, perché – contrariamente a quanto già succede da due anni tra i colleghi nell’Ue – non è ancora possibile per le imprese elaborare il prodotto negli stabilimenti vitivinicoli e non sono state fornite indicazioni agli operatori sul regime fiscale. In estrema sintesi, il prodotto può circolare anche in Italia (come in tutta l’UE), ma i produttori italiani non possono produrlo”. Dichiara Castelletti.

Da un’indagine realizzata da Swg, azienda che realizza e progetta ricerche di mercato, i vini dealcolati interessando un potenziale di 1 milione di non bevitori di alcolici, oltre a una platea di consumatori di vino o altre bevande (14 milioni) che li ritiene una alternativa di consumo in situazioni specifiche, come mettersi alla guida. Come spesso succede i consumatori sono pronti a sperimentare questi nuovi modi di bere, tocca alla politica rendere quello che è già una pratica diffusa una teoria concreta.

Cristina, in Puglia dove i vini dall’importante carica alcolica e dalla forte cromaticità come Il Primitivo di Manduria e il Negroamaro sono stati per anni il simbolo della rinascita e del successo enoico di questa terra, oggi, analizzando le tendenze attuali non incontrano più i gusti del consumatore. Qual è il consiglio che daresti alle cantine pugliesi?

La ricetta sarebbe quella di avere un compromesso giusto nel produrre un Negroamaro e un Primitivo con un grado alcolico più basso e questo si può fare, partendo proprio dalla vigna. Sto notando che i Distretti agroalimentari di Qualità i cosiddetti D.a.Q di vino in Puglia si stanno organizzando per enfatizzare la produzione degli spumanti, c’è più richiesta di bollicine, alcuni produttori hanno un retro pensiero di convertire alcuni dei vini rossi, cambiando i criteri di allevamento in vigna, per trasformali in spumanti. Credo si potrebbe creare a livello anche associazionistico un gruppo virtuoso di produttori che portano in atto una spumantistica innovativa in Puglia.

Il tuo esame di Master of Wine ha subito uno stop, non ti arrendi?

Mai arrendersi, è ovvio che in un primo momento ho provato rabbia e tristezza, successivamente ho avuto una presa di coscienza di aggiustare delle cose, piccoli dettagli, che mi hanno richiesto di correggere e il prossimo step sarà sempre nel 2024. Essere la prima donna italiana ad avere il titolo di Master of Wine è il sogno della mia vita.

 

 

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