Lo chef pugliese Sabino Fortunato nel ristorante stellato “Gallo Cedrone” realizza piatti dove il nord e il sud si incontrano

Oltre novecento chilometri, ma anche milleseicento metri di dislivello: Terlizzi e Madonna di Campiglio somigliano a due realtà agli antipodi, eppure si dividono il cuore e la vita di Sabino Fortunato, chef del Gallo Cedrone, nella cittadina sulle Dolomiti, che è nato nel Barese e vi mantiene le proprie radici. “Ho due case e due famiglie: qui sono arrivato a 23 anni, ora ne ho 45; ma la Puglia fa parte di me. Come il Trentino”.

“La cucina oggi è fatta di cuore, ricordi, passione; i piatti devono raccontare te stesso e le tue esperienze. Uso prodotti che conosco, gli altri cerco di comprenderli, ma poi torno sempre ai profumi del passato. Amo la cucina italiana, perché è diversa in ogni paese. Ed è bello riscoprire i sapori antichi, che noi non conosciamo”, si emoziona. Nel suo caso la memoria corre ai piatti napoletani di nonna Angela, che faceva la cuoca per le colonie, come la parmigiana e il ragù; i nonni invece erano contadini, quindi in casa si cuocevano tanti legumi. “Ricordo le olive nolca, che si mettevano sotto la cenere e si mangiavano col pane, come la conserva di pomodoro. Erano le nostre merende. Poi le mandorle e i ceci lasciati essiccare al sole, i profumi del frantoio, il grano tutt’intorno, che diventava la focaccia del forno”.

“Terlizzi è un paese di contadini. Io però preferivo fare le orecchiette e i cavatelli con mia madre, fin da piccolo, piuttosto che dare una mano in campagna, dove il lavoro era più duro. Da sempre mi piaceva mangiare e sapevo che per questo dovevo imparare a cucinare”. Eccolo quindi iscriversi all’alberghiero di Molfetta, poi fare le prime stagioni vicino a casa. Quando ha 16 anni alla Fiera del Levante si propone a una catena alberghiera e mette piede da commis in Trentino, dapprima in estate, poi, dopo il diploma, in inverno. “Perché non amo il caldo e 40 gradi in cucina sono troppi”.

Ha 23 anni quando arriva a Madonna di Campiglio, per la precisione nel ristorante dell’albergo Bertelli, dove l’anno successivo comincia la costruzione del Gallo Cedrone. All’inizio deve essere una Stube per i vini, poi arrivano i primi piatti e lo chef Vinicio Tenni (maestro di Sabino, come Stefano Mazzone, Martin Obermarzoner, Claudio Melis e Perbellini) conquista la stella. Quando va in pensione la proprietà pensa a lui, dopo sei anni in giro fra Alto Adige e Toscana. “E anche se ero stanco ho accettato: dal 2018 sono chef sia del ristorante che dell’albergo”.

La stella era stata sospesa all’annuncio del cambio chef, seguito da una breve chiusura, ma nel giro di un anno torna a brillare. Senza che la Puglia si eclissi dal piatto, nonostante le distanze. “Noi serviamo due menu, dedicati uno alle Dolomiti, l’altro alle Regioni, per raccontare la mia storia. Se è vero che gli italiani privilegiano il primo, gli stranieri non fanno differenze, per loro è tutta cucina italiana (e di nazionalità ne contiamo un’ottantina). Anche chi ha la seconda casa, magari, può avere voglia di cambiare. Abbiamo comunque ottenuto la certificazione per la sostenibilità, in quanto scegliamo prodotti a impronta di carbonio contenuta, in arrivo prevalentemente da piccole realtà artigianali”.

“Nella mia cucina restano i ricordi di famiglia: le paste fresche, le verdure, tanto pesce anche povero, come lo sgombro e la sarda, perché mio padre è di Bari. Mi vengono in mente, nella degustazione regionale, la zuppa di legumi con le verdure ripassate all’olio, sul modello di favette e cicorie, più pomodori e olive; i tortelli di cime di rapa con salsa di ciambotto di pesce di scoglio, alla maniera dei pescatori; l’agnello cutturiddi ai lampascioni, cotto nella terracotta con le verdure della Murgia. Ma ci sono anche piatti dove nord e sud si incontrano”.

“Torno spesso in Puglia, allora vado a mangiare nei ristoranti dei miei amici oppure in famiglia, faccio passeggiate, mi rilasso. Quando sono su mi manca il profumo dei pomodori appena raccolti, che da noi non vanno mai in frigo. Ma anche a Terlizzi ho le mie nostalgie: mi mancano i funghi del bosco e la selvaggina, come il cervo della Val di Sole da abbattimento selettivo, che quest’anno abbiamo lavorato e servito in tutte le sue parti”.

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