“Ci sentiamo più vicini a Reims”. Così Antonio Pisante geolocalizza San Severo, ormai la capitale pugliese per gli spumanti autoctoni. Siamo in una delle tante cantine ipogee della città ai piedi del Gargano, in compagnia di uno dei due volti di Pisan-Battel. Con Antonio andremo alla scoperta di ciò che già è stato fatto in fatto di bollicine a chilometro zero e, soprattutto, su cosa c’è ancora da fare per promuoverle come si deve.
Pisan-Battel, sembrerebbe un brand esotico e certamente non pugliese, ma Antonio Pisante ci tiene subito a specificare che si tratta dell’unione del cognome dei due, con un tocco che toglie solo un po’ di Pugliesità. Questi sanseveresi hanno puntato tutto sulla spumantistica creando un brand originale, in grado di incuriosire il mercato con classe ed eleganza, proprio come bollicina vuole. Il progetto nato con “consapevolezza” secondo Antonio, risale al 2017. L’obiettivo è semplice, fare solo spumante puntando su due elementi: autoctono e qualità. Basta sistema di allevamento a tendone – come da tradizione pugliese – occhio alla tecnica, regime biologico che assicura il bollino in etichetta ed esclusivamente metodo classico. Partiti da 10.000 bottiglie, oggi se ne contano circa 70.000 con Antonio e Leonardo che non vogliono fermarsi solo al mercato italiano.
I punti di forza sono Bombino Bianco, Falanghina e Nero di Troia, nomi non proprio d’abitudine se si parla di spumanti “tradizionali” ma nel Sanseverese questa è la prassi e la Doc – una delle prime in Italia sin dal 1968 – l’ha sempre permesso. Spumante da autoctono però, che vuol dire? Come proporlo all’esigente mercato in subbuglio? “La chiave vincente sta nel venderli come spumanti di Puglia e questo provoca già un vero effetto wow. Nessuno si aspetta dal Sud Italia spumanti da metodo classico di altissima qualità, e men che meno da vitigni autoctoni. Si è sempre pensato, sbagliando, che le bollicine vengano meglio solo a 200, al massimo 300 km dal confine italiano e solo a determinate altitudini. Con il nostro prodotto, assieme alla produzione locale, abbiamo dimostrato il contrario. È vero – continua Antonio – siamo a pochi metri dal mare, ma grazie all’influenza garganica assicuriamo ottime escursioni termiche. Il risultato è dare al consumatore un’espressione diversa del vitigno principe del territorio, cioè il Bombino. Con la spumantizzazione abbiamo solo ripreso una storia che fa parte di Puglia sin dal 1800, quando proprio i francesi venivano qui a selezionare le basi per i loro spumanti”.
Lo spumante a San Severo quindi, non è solo una trovata geniale dell’ultimo secolo, bensì una tradizione consolidata che si arricchisce del valore autoctono e oggi, del saper fare dei produttori. Ad esempio, per assicurare un corretto corredo aromatico e preservarlo, è necessario centrare l’epoca di raccolta “Il nostro terreno diverso è stare attenti all’epoca di raccolta che va attenzionata più della vinificazione stessa. Fisssare le acidità, gli zuccheri, sono azioni essenziali che portano a fare qualità”. Il risultato da raggiungere, secondo Antonio, è uno spumante moderno, fatto per il consumatore di vino alla ricerca dell’aromaticità e morbidezza, senza mai ricadere nel banale.
San Severo è il territorio per eccellenza vocato per chi vuole fare spumante in Puglia e di strada Pisante e Battello ne hanno fatta tanta, soprattutto per vincenti trovate commerciali e per un successo arrivato grazie al prodotto di qualità che si fa forza sulla storia, quella della spumantizzazione in terra garaganica, fatta da sempre nelle cantine ipogee cittadine dove oggi, non si vinifica più. Restano storie che si affinano in bottiglia, si evolvono col tempo e si traducono in bollicine uniche nel loro genere.
Oggi San Severo è famosa proprio per la spumantizzazione da vitigni autoctoni, ma il prodotto viene valorizzato come si deve? Pisante, voce sempre critica e fuori dal coro, sa che si può fare sempre di più e che, forse, non è stato fatto ancora abbastanza. Se l’eco è una Doc performante, la pratica rende ancora più difficile rifondarla e metterla a regime. A tal proposito ci dice che: “Il progetto è di stretta attualità e tra noi produttori il discorso è già operativo. Siamo ancora in pochi, soprattutto i consapevoli riguardo la Doc. Molti però, restano intimoriti dai vincoli che questa potrebbe porre dal punto di vista burocratico, quindi influire rallentandone la pratica. Il fatto è che bisogna guardare al futuro e non solo all’immediato presente. È necessario tutelarsi ora per goderne dei frutti domani. La Doc infatti, potrebbe essere un ottimo propulsore per il nostro territorio e per il rilancio del vino di San Severo, spumantistica compresa. Servono regole certe”.
Cosa manca per farlo partire è quasi un mistero. Tutti la vogliono, ma non c’è ancora nulla di operativo, se non sulla carta. Ad Antonio abbiamo chiesto a che punto siamo. “Di fatto siamo alla fine dell’iter burocratico e possiamo dirlo, ci siamo quasi. La Doc si farà con il suo disciplinare, ma per vederla a regime ci vorrà ancora del tempo”. Se questo basterà per dare una svolta ci viene difficile crederlo però, vogliamo dirlo, le potenzialità ci sono tutte. Anche in ambito enoturistico.
San Severo e la Capitanata infatti, sono pronti ad esplodere e a mostrarsi nella migliore luce possibile non solo agli addetti del settore, ma anche ai wine lovers stanchi delle solite mete blasonate, vogliosi di misurarsi con il vino del Sud Italia, soprattutto nella curiosa accezione della bollicina. Quali sono le azioni da mettere in campo? La Doc e il consorzio dedicato alla spumantistica può essere uno strumento di promozione importante per il territorio? “Oggi il turismo si muove attorno all’enogastronomia, e il vino fa e farà la sua grande parte. In zona c’è da dire che funziona ancora poco, ma di potenziale ce n’è tanto, non solo dal punto di vista enogastronomico, anzi, anche dal punto di vista storico e territoriale. Il nostro territorio infatti, non è privo di nulla, dal mare alla montagna, ma non siamo pronti per l’accoglienza – Dice con rammarico Antonio – Non tutte le aziende sono strutturate, dal punto di vista degli spazi e dell’operatività, per fare accoglienza. Non solo, non tutti hanno ancora compreso quanto lo storytelling sia oggi essenziale per vendere un territorio. Questo è un nostro grande neo e c’è bisogno di investire ancora di più su questo comparto, creando posti di lavoro specializzati. Per il futuro vogliamo puntare proprio a questo, a strutturarci. Per farlo ci batteremo con tutte le nostre forze”.
San Severo e la spumantistica regionale, sebbene faccia ancora numeri esigui rispetto ad altre zone “frizzanti” d’Italia, punta all’eccellenza e alla fascia alta. In epoca in cui lo spumante va alla grande e ben oltre il consumo delle feste, è necessario strutturare una campagna promozionale come si deve, senza fare l’errore di puntare solo sulla bolla, non sul bianco e sul rosso San Severo Doc. La nostra testa d’ariete è pronta per sfondare il mercato e i pregiudizi del consumatore che queste bollicine, forse, non le ha ancora provate e apprezzate a dovere.